La ricetta di Tremonti passa per gli eurobond

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La ricetta di Tremonti passa per gli eurobond

22 Aprile 2008

Nell’allegro disordine che sempre
accompagna i cambi di governo, sarebbe un peccato perdere per strada spunti
interessanti per il futuro prossimo.

Giulio Tremonti, a margine del suo
intervento a Parigi, ne ha lanciato più d’uno.

Ha ricordato, per esempio, che da qualche
tempo a questa parte si tende a distorcere la sostanza delle cose e ad
ammantarla con nomi fuorvianti.

A chi obietta che i rimedi dei mercati
sono i mercati stessi, va ricordato che gli interventi di salvataggio più
massicci e intrusivi sono stati compiuti non dai mercati, ma nei
mercati. E, per giunta, da soggetti statali.

Di fronte alla prospettiva del
fallimento, gli istituti di credito sono stati letteralmente
na-zio-na-liz-za-ti. Altro che “socializzazione della crisi”,
“condivisione delle responsabilità” e avanti così con il marketing macroeconomico!

Da mesi assistiamo senza proferire verbo
al salvataggio di una mega-banca (Northern Rock) da parte dello Stato
britannico, o a continue iniezioni di denaro da parte della cassa depositi e
prestiti tedesca nelle sue scalcinatissime partecipate.

Da dove arriva il denaro per i
salvataggi? Dai mercati, forse? Nient’affatto: è denaro pubblico, soldi dei
contribuenti.

Che dire poi dei continui interventi dei
“fondi sovrani” –  fondi interamente
controllati e gestiti non già da privati ma da Stati? In altri tempi ci saremmo
stracciati le vesti sapendo che gli azionisti delle principali società
occidentali (banche, assicurazioni, infrastrutture, ecc ecc..) sono cinesi o
russi.

Oggi, con un disperato bisogno  di cassa, un occhio lo si chiude, e magari
anche due.

Ma per intanto, nel caso dei “fondi
sovrani” – anche volendo mettere da parte remore di tipo morale o etico –
sempre di Stato si tratta e non di mercato.

E allora perché indignarsi tanto se
Tremonti ritorna alla carica con i suoi EuroBond e propone una soluzione che
metta assieme al tempo stesso mercati e Stati UE?

L’idea – la prosecuzione in chiave 2008 del
“Piano Delors”- è semplice: emettere titoli di debito sul mercato, sfruttando
la forza che ci deriva dall’euro alle stelle, per “fare leva”.

Perché il debito, se utilizzato con
intelligenza, è un autentico volano della crescita.

Non solo a livello micro – il mutuo per
la casa, la linea di credito per la start-up, ecc ecc –  ma anche a livello macro, di finanza
pubblica. Agli Stati il debito fa bene, Tremonti ce lo ricorda nel suo “La
paura e la Speranza”
quando cita Alexander Hamilton. Il quale alla fine del ‘700 ebbe a
dichiarare che ”un debito nazionale,
purché non eccessivo, sarà una benedizione per la nostra nazione”
.