La rivincita del Mezzogiorno parte dalla NoTax Region

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La rivincita del Mezzogiorno parte dalla NoTax Region

28 Agosto 2009

Nuove vecchie idee avanzano. Certo, di buone intenzioni e di intese bipartisan arenatesi per eccesso di consenso è lastricata la via della politica italiana. E anche nel caso della proposta di trasformazione del Mezzogiorno d’Italia in una grande No Tax Region per i redditi d’impresa, è forte il rischio di fallimento.

Eppure il favore di cui la misura che l’Istituto Bruno Leoni va promuovendo da un anno a questa parte sta godendo è inusuale, autorevole e sempre più diffuso: un editoriale del 17 agosto di Angelo Panebianco sul Corriere ha tirato la volata all’endorsement del candidato segretario del Pd Pierluigi Bersani, che si somma alle prese di posizioni pidielline di Benedetto Della Vedova, Gaetano Quaglieriello, Santo Versace ed Erminia Mazzoni, al Pd Laratta e all’appoggio dichiarato di molti esponenti di Confindustria Giovani e di intellettuali come Franco Debenedetti. Insomma, qualcuno inizia a crederci davvero.

Di cosa si tratta? Molto semplicemente, dell’abolizione dell’Ires per dieci anni per le imprese che investono nel Mezzogiorno, dall’Abruzzo alla Sicilia, con l’eventuale previsione di un’aliquota ridotta per un periodo di ulteriori cinque anni. Il calo di gettito andrebbe finanziato con la soppressione di un uguale importo di sussidi alle imprese. Un cambio di paradigma rispetto al passato, l’abbandono di decenni di assistenzialismo e di risorse a pioggia concessi all’economia meridionale, troppo e troppo spesso intermediati dalla politica e dalla burocrazia, che ne hanno fatto un terreno di consolidamento del loro potere, in favore di una misura trasparente ed impersonale: chi investe al Sud, non paga tasse sui propri utili. Semplice.

Circa nove anni fa, la proposta di una detassazione degli investimenti nelle regioni meridionali – da attuare attraverso la riduzione dei sussidi statali e comunitari – aveva fatto capolino nel dibattito politico. In particolare, era stato l’allora presidente di Confindustria, il campano Antonio D’Amato, ad avanzare l’idea, supportato, seppure con qualche timidezza, dal premier Giuliano Amato. Proprio la poca convinzione del Dottor Sottile e, forse, l’imminenza delle elezioni politiche italiane del 2001 contribuirono a far invece prevalere la contrarietà all’iniziativa dell’allora commissario europeo alla concorrenza, Mario Monti.

Non stupisca che quel dibattito si sia svolto prevalentemente in sede comunitaria. Una detassazione dell’imposta sul reddito per le imprese meridionali ha più di un profilo di incompatibilità con le norme comunitarie in materia di aiuti di stato, tanto che l’eventuale placet di Bruxelles sarebbe dovuto avvenire (e ora dovrebbe avvenire) soprattutto per ragioni eminentemente politiche. Non è questa la sede per indagare la rispondenza della No Tax Region con i dettami comunitari. Le opinioni sono diverse e contrastanti ed è meglio, come si diceva, intavolare il dibattito sul fronte politico, chiedendo che l’Europa accetti la “eccezione italiana”, come fece anni or sono con l’eccezione britannica della signora Thatcher: sulla base della specialità di Albione, fu concesso a Londra di contribuire meno al bilancio comunitario rispetto a quanto le regole di finanza avrebbero previsto. Per l’Italia, l’eccezione si chiama Mezzogiorno, l’eccezione delle eccezioni: la situazione socio-economica di un pezzo così grande del Paese non giustifica forse interventi straordinari? Il Governo Berlusconi, nel dossier relativo al Protocollo di Kyoto, ha già dimostrato di saper fare la voce grossa a Bruxelles.

D’altro canto, si può davvero considerare aiuto di Stato una riforma che elimina per un certo lasso di tempo la tassazione del reddito d’impresa in un’area abitata da circa diciassette milioni di abitanti? Conti alla mano, il Mezzogiorno d’Italia sarebbe l’ottavo paese dell’Unione Europea. E non è azzardato considerarlo un paese quanto meno “per differenza”, rispetto al Centro Nord Italia: non c’è una statistica di natura socio-economica che sia una, in cui non si evidenzi la frattura profonda tra le due macroregioni della nazione, il carattere drammaticamente duale del paese. Se è arduo individuare le ragioni dell’arretratezza meridionale, è facile spiegare il fallimento delle politiche adottate negli ultimi sessanta anni: l’uso indiscriminato dei sussidi pubblici per finanziare improbabili e anti-economiche attività imprenditoriali, la cui unica ragion d’essere era spesso l’incentivo stesso. Al contrario, l’abbattimento della pressione fiscale è una leva per l’attrazione degli investimenti privati, ma è soprattutto un messaggio chiaro di “astensione” della politica e della burocrazia dalle dinamiche economiche.

Convinto fin da quando sedeva tra i banchi del Parlamento Europeo della bontà della proposta, Benedetto Della Vedova non ha mai smesso di coltivare l’idea della No Tax Region, proponendola come misura choc per il rilancio del Sud e ponendola più volte sul tavolo di discussione del Pdl, il partito di cui oggi è deputato nazionale. La collaborazione e la comunanza di idee che lega il sottoscritto a Della Vedova hanno fatto sì che l’idea finisse – elaborata nei suoi dettagli – nel Manuale delle Riforme dell’Istituto Bruno Leoni, un breviario di piccole rivoluzioni possibili per la legislatura in corso. Grazie alla capacità divulgativa del think tank liberale, la proposta ha raccolto un consenso insperato e crescente. Gli incontri e le tavole rotonde sul tema si sono susseguite nei mesi, anche grazie all’interessamento degli esponenti meridionali di Confindustria Giovani, ed il cammino è culminato a luglio con la firma, a Napoli, di un pledge – un impegno politico in stile anglosassone – da parte dei già citati esponenti del Pdl. Tra questi, il vicecapogruppo vicario dei senatori del Pdl, Gaetano Quagliariello. Pur evidenziando i non pochi problemi di attuazione, nell’incontro organizzato dall’associazione partenopea Napoli Liberal, Quagliariello ha certamente riconosciuto la portata storica per il Sud e per l’intero paese dell’eventuale istituzione della No Tax Region: un Mezzogiorno che abbandonasse la via dell’assistenzialismo e che scegliesse con convinzione di competere con le regioni del Centro-Nord e con gli altri partner europei, si candiderebbe a diventare una delle aree più dinamiche e attraenti dell’area euro-mediterranea. Una motivazione di efficienza pratica corrobora poi la misura, secondo Quagliariello: “Accettata l’idea che le politiche di sostegno allo sviluppo debbano essere intermediate dalla pubblica amministrazione – ha sottolineato il senatore nell’incontro di Napoli – ne consegue un’inevitabile crescita esponenziale dei costi amministrativi a carico del sistema delle imprese”. Anche volendo tralasciare le situazioni di malcostume e corruttela, è evidente che tali costi di transazione spesso riducono se non annullano gli eventuali benefici delle politiche di sviluppo.

L’appoggio di Pierluigi Bersani (che segue, per la verità, un’apertura di Massimo D’Alema di qualche mese fa) è una notizia molto positiva: se questa diventasse la posizione del Pd – al di là della vittoria o meno alle primarie dell’ex ministro dell’Industria – ci troveremmo di fronte ad un’inversione di rotta estremamente positiva per la politica italiana. Se il Pd abbandonesse l’impostazione vetero-keynesiana nei confronti del Meridione (quella che voleva più spesa pubblica, ergo più intermediazione; una via di cui il centrosinistra locale ha sovente beneficiato, Bassolino docet) e accettasse la sfida della competizione fiscale e del merito (è questo, in soldoni, il succo della No Tax Region), sarebbe più facile per l’attuale maggioranza di governo adottare la detassazione Ires e farla “digerire” alla recalcitrante Commissione Europea.

Ora, dalle parole ai fatti. Alberto Mingardi, direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni, ha annunciato per settembre la costituzione di un tavolo tecnico-politico. Può essere un appuntamento importante, un vero laboratorio di policy con il quale “confezionare” alla virgola il testo normativo del provvedimento e per bussare alla porta del Governo. Per convinzioni e cultura politica, Giulio Tremonti non dovrebbe essere insensibile all’idea, che è anzi molto tremontiana. Tra strillanti partiti del Nord e fantomatici partiti del Sud, Pdl e Pd hanno un’occasione per dimostrare di saper superare le beghe quotidiane per l’interesse di tutti.

I pregiudizi così diffusi nei confronti del Sud potrebbero essere molto indeboliti se gli investitori internazionali – come ama sottolineare Della Vedova – leggessero sulle pagine dell’Economist: “Southern Italy: No Corporate Tax”. Dopo decenni di miliardi di euro bruciati nei mille rivoli del clientelismo e, troppo spesso, del malaffare, il Sud si troverebbe finalmente di fronte alla sfida della responsabilità.