La rivincita della Catalanesca, eccellenza campana rimasta in disparte
20 Giugno 2011
di Yuri Buono
In Campania, ovunque si vada, si trovano posti meravigliosi e prodotti sublimi. La nostra prima tappa è stata nel centro storico di Napoli, mentre con la seconda abbiamo toccato le spiagge del Cilento; stavolta ci spostiamo in provincia di Napoli, alle pendici di un vulcano che ha ispirato molteplici catastrofismi, ma anche innumerevoli canzoni d’amore. Forse per la vista di cui si gode passeggiando sul suo terreno rossiccio; forse per il suo carattere forte e austero che attira e rapisce; di certo, però, il Vesuvio domina incontrastato e la sua presenza è croce e delizia. Quasi come una sorta di patto implicito, ormai, sono tanti anni che dorme placidamente e speriamo che lo faccia ancora per molto, donando vegetazione, alberi da frutta e vini deliziosi.
In questo caso non parleremo dell’aglianico – vitigno molto diffuso e di cui meriterà in futuro parlare per le differenze tra i vari territori che lo rendono unico e diverso da provincia a provincia – bensì di catalanesca. A dire il vero, se non la si conosce, c’è un motivo: la solita burocrazia italiana e i vari enti interessati hanno impedito, fino a poco tempo fa, di poter etichettare i vini prodotti con uva catalanesca.
Solo da pochi mesi, infatti, si è conclusa la lunga trafila che ha portato alla decisione che agricoltori, vignaioli e semplici appassionati aspettavano da tempo: la Catalanesca potrà finalmente essere imbottigliata ed etichettata con la dicitura “Catalanesca IGT del Monte Somma”. Qual è questo monte? È il fratello maggiore del Vesuvio, perché prima esisteva un solo, grande e immenso vulcano. Nel corso dei millenni le ripetute eruzioni, fino a quella tremenda del 79 d.C., hanno fatto collassare il Monte Somma, creando una nuova caldera con un nuovo vulcano chiamato, appunto, Vesuvio. Ed è proprio questa la storia che narra il vino Catalanesca. Una storia di un territorio vulcanico, una storia di produzione che nasce nel XV secolo, quando l’uva fu portata qui dalla Spagna – precisamente dalla Catalogna – da Alfonso d’Aragona e impiantata sulle pendici del Monte Somma, fra Somma Vesuviana e Terzigno.
Ora è arrivato anche il disciplinare a confermarlo: questo vino sarà prodotto nelle località di San Sebastiano al Vesuvio, Massa di Somma, Cercola, Pollena Trocchia, Sant’Anastasia, Somma Vesuviana, Ottaviano, San Giuseppe Vesuviano e Terzigno, tutte ricadenti in provincia di Napoli. Sarà vinificato sia nella classica versione bianco secco che passito. Insomma, sarà un piacere del palato, finalmente riconosciuto, perché finora poterlo bere era una rarità. C’era qualche contadino che lo produceva per uso personale, oppure veniva derubricato alla voce “vino da tavola”, quindi senza certezza della quantità di uvaggio utilizzato.
La Catalanesca è un’uva tardiva, che si raccoglie tra ottobre e novembre, ma può restare sulla vite fino alla fine dell’anno: un tempo vi era la tradizione di lasciare sulla pianta i grappoli più belli, eliminando via via gli acini guasti, così da favorirne il mantenimento fino al periodo natalizio. Dal colore giallo paglierino; dall’odore intenso, floreale e fruttato; dal sapore caratteristico di questo terreno vulcanico; all’olfatto si percepiscono sentori di ginestra, albicocca, acacia, magnolia e una pronunciata vena minerale. L’accompagnamento ideale per le sere d’estate in compagnia di amici; un vino fresco, delicato ma persistente, che si sposa benissimo con stoccafisso e baccalà marinato o arrostito, ma anche con una piacevole cenetta a base di crostacei e frutti di mare.
Da domani, quando lo assaggeremo, ricordiamoci di un vulcano, di un’eruzione, di sacrifici e panorami bucolici e di un Re che – innamoratosi della bellezza di questa città – non tornò mai più in Aragona e volle morire qui. Ed è proprio questo il nostro auspicio: tornare ad innamorarci della nostra terra.