La rivolta borghese contro il rais di Tunisi

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La rivolta borghese contro il rais di Tunisi

La rivolta borghese contro il rais di Tunisi

18 Gennaio 2011

La decisione del presidente tunisino Ben Ali di dimissionare il governo e di indire elezioni anticipate e di fuggire all’estero rappresenta ben di più del successo travolgente della rivolta dei giovani e dei tantissimi professionisti che hanno infiammato da un mese le piazze di tutto il Paese. È infatti la prima volta in un Paese arabo che un raìs, forse non un dittatore, ma sicuramente il capo di un regime autoritario e illiberale, decide di cedere alla piazza, di spalancare le porte alla democrazia e di fuggire in esilio.

Un fatto dirompente, che potrà avere effetti enormi, prodotto da due forze che si intersecano: la modernità, la vivacità non solo dei giovani tunisini emarginati, ma anche e soprattutto di un ampissimo ceto medio e medio alto che si è unito, nelle piazze nella rivolta, per obbligare un regime corrotto a cedere il passo alla democrazia. Ma soprattutto la presenza e il peso di una “società civile” (scusate il termine, ma è l’unico a disposizione) che è stata formata non solo da un grande leader arabo quale è stato il padre della patria Hamid Bourghiba, ma anche dall’intuizione di Bettino Craxi che comprese che la Tunisia era il ponte ideale tra l’Europa e l’interomondo arabo ed era il naturale interlocutore, politico ed economico, dell’Italia nel Mediterraneo e che andava aiutata.

La grandezza e la straordinaria solitudine nel contesto arabo di Bourghiba – che per decenni aveva lottato contro il colonialismo francese – è tutta nella suo progetto di costruire un Paese non già “laico”, o “panarabo”, ma che si costruisse come ponte tra Islam e Occidente. La mentalità di avvocati, medici, giornalisti, neolaureati che hanno dato la spallata al regime di Ben Ali, si è formata nell’unico Paese arabo che ha investito al massimo nell’istruzione (nel 2010 l’analfabetismo a 15 anni era solo dell’11% tra i maschi e il 28.3% tra le femmine, contro un 31,3 e un 53,4 del Marocco) e soprattutto che, per volontà di Bourghiba, ha tolto ogni e qualsiasi potere ai tribunali islamici e si è dato codici di moderna mediazione tra il diritto islamico e quello europeo. Il bando della poligamia, la fine del diritto del marito al ripudio della moglie, il diritto delle donne di chiedere il divorzio e di avere in custodia i figli, sono contenuti nel Codice voluto da Bourghiba nel lontano 13 agosto 1956.

Per decenni Bourghiba si è rifiutato di seguire le fole dell’oltranzismo nasseriano, tanto che l’11 marzo del 1965 propose ai Paesi arabi di riconoscere l’esistenza di Israele. Insomma, Bourghiba, sia pure col suo paternalismo illuminato, ha posto le fondamenta su cui la Tunisia ha potuto costruirsi come Paese arabo e moderno. Bettino Craxi intuì questa realtà, comprese le potenzialità di una Tunisia che, pur poverissima, senza petrolio, poteva essere aiutata dall’Italia a svilupparsi e a crescere. Mani Pulite ha fatto strame anche di questa straordinaria intuizione di Craxi – che non a caso scelse Hammamet per il suo esilio – ma ora la storia, anche su questo, gli dà ragione.

La massa di investitori italiani che a partire dagli anni ’80 si è riversata in Tunisia, a partire dall’impulso voluto da Craxi e curato dall’ambasciatore Claudio Moreno, ha favorito la crescita economia di un Paese in cui se non tutti, molti, si informano guardando le televisioni italiane. Oggi sono 745 le imprese italiane che investono in Tunisia e l’Italia è il secondo Paese, dopo la Francia, nei rapporti con Tunisi. Ammalatosi Bourghiba, Ben Ali ne ha preso il posto con un mezzo golpe, ma non ne ha saputo sviluppare la strategia. Costretto a fronteggiare l’emergenza islamista – assolutamente marginale grazie ai semi gettati da Bourghiba –Ben Ali ha messo fuori legge il partito islamico Ennahda e ha imposto un regime poliziesco e corrottissimo. Ma i “fondamentali” su cui era cresciuto il Paese erano sani, tanto sani da saper dettar legge a Ben Ali. Un caso unico nel mondo arabo.

(Tratto da Libero)