
La saga dei Dpcm, tra paternalismo e forzature giuridiche

13 Ottobre 2020
Qualche mese fa è stato dato alle stampe un piccolo volume intitolato “Berlino Est 2.0” (Eclettica edizioni), scritto dal giovane giornalista Federico Cenci. E’ una narrazione distopica che si richiama evidentemente al modello di 1984 di George Orwell, ma anche alla memorialistica dei dissidenti del blocco sovietico. Racconta, attraverso una serie di “scene” immerse in un’atmoscera allucinata, la vita quotidiana sotto una dittatura che viene descritta con le categorie tipiche di quelle totalitarie del Novecento. Ma al lettore basta poco per accorgersi che gli episodi descritti rappresentano, senza esagerazioni, la vita quotidiana di tutti i cittadini nel periodo del “lockdown” motivato con l’emergenza sanitaria Covid dello scorso inverno-primavera. E così accade che sotto il tenue velo della “fictio” narrativa le caratteristiche del regime di vita imposto agli italiani in quel periodo si rivelano nella loro verità essenziale: un regime di fatto dittatoriale, imperniato sulla soppressione delle libertà individuali, sulla sorveglianza poliziesca e su una propaganda martellante.
Il confinamento forzato, l’impedimento alla libera circolazione, le “autocertificazioni” per le più elementari necessità di movimento quotidiano, l’impedimento all’attività motoria e persino alle passeggiate e giochi dei bambini, le file davati ai negozi dagli orari contingentati, la soppressione delle funzioni religiose e dei funerali, persino elementi grotteschi come i canti dell’inno nazionale e le bandiere dai balconi: tutto ciò ci appare nella sua luce sinistra e più autentica, ricordandoci che in nome della sicurezza da un morbo descritto in forme apocalittiche (in nome della “nuda vita”, per citare Giorgio Agamben) la società civile italiana ha accettato praticamente senza batter ciglio di sospendere democrazia e libertà costituzionali, consegnando un potere assoluto al governo, ai presidenti delle Regioni, a un comitato tecnico-scientifico di nomina governativa.
E’ stata una sospensione illegittima, fondata su provvedimenti normativi non aventi valore di legge, inutile dal punto di vista sanitario (visti i tassi altissimi di mortalità e letalità italiani in quel periodo, se confrontati con quelli di paesi che hanno adottato provvedimenti di salvaguardia più mirati lasciando ampi margini di normalità alla vita sociale) e assolutamente disastrosa dal punto di vista economico. Ma, soprattutto, nel caso italiano lo stato di emergenza è stato prorogato più volte anche dopo la fine della fase acuta dell’epidemia, è ancora in vigore oggi (caso unico in Europa, anche rispetto a paesi con una diffusione del virus molto maggiore) e oggi continua, sotto la veste di una abolizione della normalità praticamente indefinita, giustificata da parte governativa sempre con l’argomentazione secondo cui per la salute e la sicurezza si giustifica la rinuncia a qualche libertà. Il tutto nella diffusa indifferenza, o al massimo in una latente insofferenza, di gran parte dell’opinione pubblica.
E questo ci porta agli sviluppi delle ultime settimane e giorni, quando di fronte ad una inequivocabile (per chi guarda i dati e non la propaganda) “normalizzazione” del virus, il “blocco” di governo, Cts e regioni emergenzialiste non soltanto insiste nel mantenere misure restrittive che distruggono interi comparti economici e sabotano scuola, università, cultura, arte, ma addirittura rilancia un’ulteriore campagna di terrorismo psicologico per imporre nuovi confinamenti, e addirittura pretende di entrare nella vita privata e nelle residenze private degli italiani con divieti e minacce di repressione poliziesca (come in forma clamorosa ha fatto in particolare nei girni scorsi il Ministro della Salute Speranza). ancora una volta colpevolizzando e criminalizzando i comportamenti dei cittadini, e violando patentemente gli articoli 13, a4 e 16 della Costituzione sulla inviolabilità della libertà individuale, del domicilio e della libertà di circolazione.
Il nuovo, ennesimo DPCM licenziato il 13 ottobre dall’esecutivo ribadisce, sotto una veste cavillosa e in paragrafi contorti, questo ormai consolidato ingresso nella nostra vita politica e istituzionale di una componente autoritaria, paternalistica, repressiva che dovrebbe essere guardata con orrore da chiunque si professi democratico o liberale, compresi tutti quelli che in questi anni hanno ossessivamente gridato all’allarme del “ritorno del fascismo” quando al governo c’era Matteo Salvini.
In particolare, la “forte raccomandazione” ai cittadini di indossare le mascherine in casa in caso di visite di “non conviventi” apre una breccia dalle conseguenze potenzialmente devastanti nella difesa dei diritti fondamentali. Una breccia che, se fossimo in un paese dalla salda cultura liberale, dovrebbe muovere enti locali o privati cittadini a sollevare in ogni sede possibile ricorsi ed eccezioni di costituzionalità. La limitazione delle manifestazioni pubbliche ad una “forma statica” viola patentemente la libertà di riunione e associazione. E la rinnovata, drastica limitazione di tutte le attività ludiche e ricreative – dalle feste alla frequentazione di bar e ristoranti) tradisce il pervicace proposito di sabotare sistematicamente ogni forma di socializzazione autonoma.
Insomma, “Berlino Est 2.0” non se ne è mai andata dall’Italia. E’ diventata, ad onta di ogni seria analisi sulla situazione sanitaria ed epidemiologica, parte integrante, realtà quotidiana della dialettica politica e civile. Apparentemente in una forma attenuata, ma in realtà pronta a riesplodere nella sua veste più virulenta e repressiva appena il “blocco” di potere del regime sanitario trovi, manipolando pretestuosamente la realtà grazie anche a media in gran parte compiacenti, l’occasione per farlo. E’ diventata una mentalità, talmente radicata in pochi mesi che ormai la popolazione attende con rassegnazione i Dpcm e le trovate emergenzialiste dei governatori come se fossero una specie di dato naturale inevitabile. Almeno per ora, e fino a quando gli effetti economici suicidi dell’emergenzialismo non avranno toccato interessi diffusi in maniera nettamente percepibile.
In sostanza, se in altri paesi occidentali l’emergenza sanitaria ha fatto emergere pulsioni autoritarie, ma anche proteste contro di esse, in Italia essa ha riportato in piena luce una tradizione di asservimento e di acquiescenza a poteri dispotici che è profondamente radicata nella storia e nella cultura nazionale: da un’unità nazionale realizzata con un’operazione verticistica e nel segno del centralismo burocratico, all’autoritarismo di Crispi e Pelloux, fino all’egemonia politico-culturale del fascismo e del comunismo e al compromesso catto-comunista che nell’epoca repubblicana ha soffocato in larga parte la cultura liberale.