La Sapienza: una storia fatta di grandi divieti ed eccellenti privilegi
17 Gennaio 2008
Laicismo? Intolleranza
anticlericale? Revival antipapista? Giordano Bruno e Galileo? Quasi 31 anni fa,
toccò a Luciano Lama, esponente dell’allora Pci e leader della Cgil. Il 17
febbraio 1977 autonomi e indiani metropolitani iniziarono a contestare il suo comizio:
in apparenza, in stile goliardico. “I Lama stanno nel Tibet”, “L’ama o non
Lama Non Lama nessuno” dicevano i cartelli. “Fatte ‘na pera, Luciano fatte ‘na
pera”, era il coro, sull’aria di Guantanamera.
Alle 10 agli sfottimenti seguirono le botte, che durarono per mezz’ora. Lama fu
costretto ad andarsene.
Da allora, con le varianti del
caso, la scena si è periodicamente ripetuta. Nel 1988 furono ad esempio
contestati sia lo storico e docente alla stessa Sapienza Renzo De Felice, con relativa carica della polizia; sia il
liberale e massone Valerio Zanone, intervenuto da ministro della Difesa a un
convegno del Movimento Federalista Europeo che fu impedito.
Il 19 aprile 1991
toccò a Papa Giovanni Paolo II, quando un gruppo di autonomi usò i fischietti per
cercare di coprire il suo discorso dalla scalinata del Rettorato a 5000 giovani
radunati nel piazzale della Minerva. Il 3 novembre del 2003 fu all’allora
vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini che 200 membri dei colettivi
universitari impedirono di partecipare a un convegno sulla Costituzione
Europea. E poi lo scorso a marzo è toccato anche al comunista Bertinotti:
presidente della Camera che aveva votato per il rinnovo della presenza militare
italiana in Afghanistan, e quindi mentre si recava a un convegno aspettato al
varco da una cinquantina di membri della cosidetta “Rete per l’autoformazione”,
che gli hanno dato del “buffone” e del “guerrafondaio”. Adesso si trovano
minacciati anche il sindaco Velltroni e il ministro Mussi: pure di sinistra.
Insomma, ad andare alla Sapienza rischiano tutti. Una volta, fin
da quando nacquero nel Medio Evo, il principio era che le Universitas fossero dei luoghi franchi, dove la libertà di
discutere era tutelata perfino quando erano al potere i regimi più oscurantisti
e tirannici. Per questo, tuttora il professore universitario non è soggetto
neanche a vincoli di programma. Per questo, suscitò e suscita ancora tanto
scandalo la decisione del fascismo di imporre un giuramento di fedeltà al
regime. Per questo, in moltissimi Paesi la polizia non ha diritto di accesso
alle università. Per questo, ci sono state numerosi casi in cui il voto degli
organismi universitari è rimasto l’unico libero e pluralista in situazioni di
regime militare, occupazione straniera o partito unico. Insomma, una franchigia
di extraterritorialità: del pensiero e della coscienza.
Anche la Sapienza è da almeno trentuno anni in situazione di
extraterritorialità. Ma, ormai, rispetto a un Paese pluralista, dove è
considerato normale che chiunque vada in qualsiasi sede a fare discorsi di
qualsiasi tipo senza che nessuno provi a impedirlo. Un’isola di pensiero unico
gruppettaro, che si passa di generazioni in generazione le consegne per
mantenere il clima di intimidazione. Non solo la Sapienza d’altronde. A rappresentanti dell’Ambasciata israeliana,
ad esempio, è stato impedito di parlare nell’ottobre del 2004 all’Università di
Pisa, nel febbraio 2005 in
quella di Firenze, nell’aprile del 2005 in quella di Torino.