La Sarkozy-economy spiazza il dollaro

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La Sarkozy-economy spiazza il dollaro

La Sarkozy-economy spiazza il dollaro

12 Luglio 2007

Come avevamo previsto, a politiche economiche immutate per acquistare un euro ci vorranno, tra giorni, 1,40 dollari Usa. Il cambio ha già raggiunto 1,38 nella giornata dell’11 luglio, il deprezzamento più forte toccato in un quarto di secolo nei confronti della sterlina britannica e del paniere di monete che un tempo erano la base di quello che oggi è l’euro. Gli osservatori pongono l’accento su aspetti di breve ove non di brevissimo periodo, quali le dichiarazioni del Presidente della Federal Reserve Ben Bernanke (al National Bureau of Economic Research, Nber) sul tasso d’inflazione “ancorato” (ossia sull’andamento generale dei prezzi nonostante movimenti dei prezzi relativi dovuti a elementi esogeni quali le fluttuazioni nel mercato dell’energia) oppure l’affievolirsi del differenziale tra i tassi d’interesse Usa e quelli del resto del mondo, in particolare di quelli della zona dell’euro. Se visto in un’ottica pluriennale, il mutamento di rapporto di cambio tra dollaro Usa ed euro è stato molto significativo: nell’ottobre 2000 un euro valeva 0,82 cents di dollaro Usa mentre ora ne vale quasi 1,40.

La determinante principale è l’enorme disavanzo della bilancia delle partite correnti americane, oltre 800 miliardi di dollari negli ultimi 12 mesi, (quasi 840 se si tiene conto solo dell’intercambio commerciale) ossia pari al 6% del pil. Questo dato, però, è solo la punta di un complesso iceberg che rispecchia l’aumento del deficit annuale dei conti federali e dello stock di debito federale Usa. Una ricostruzione accurata delle poste è stata fatta dal Cato Instituto e dal Dipartimento del Tesoro Usa e pubblicata nell’ultimo numero del Financial Analyst Journal : Jagadeesh Gokhale (Cato) e Kent Smetters (Tesoro) stimano (al 31 dicembre 2006) lo stock di debito federale Usa in 64 milioni di miliardi di dollari Usa e il disavanzo federale in 2,4 milioni di miliardi. Sono cifre mai raggiunte e tali da fare paura ai mercati.

Più articolato uno studio proprio della Federal Reserve (International Financial Discussion Paper N. 892): sulla base di dati degli ultimi 35 anni esamina episodi in cui la bilancia commerciale è peggiorata  ed episodi di aggiustamento (per rimettere i conti a posto). Questi ultimi sono stati  relativamente “benigni”, anche se hanno, di solito, comportato un aumento dei tassi , un rallentamento nell’edilizia residenziale ed un incremento dell’inflazione. un saggio nell’ultimo fascicolo dell’Oxford Bulletin of Economics and Statistics, analizza la “unicità” del Ffr (Federal fund rate, il tasso di riferimento Usa, in pratica l’interbancario): mentre gli altri tassi (d’interesse) contengono un numero limitato di informazioni , lo Ffr  è un indicatore pregnante e frequente di dove va la politica monetaria Usa ed influenza anche il resto del mondo.  Le aspettative di una politica monetaria più restrittiva (molto forti due settimane fa) non si sono verificate all’ultima riunione del Comitato per le Operazioni sul Mercato Aperto, l’organo di governo dell’autorità monetaria Usa.

In questo quadro, si situa la posizione di Parigi sull’euro. Dopo le elezioni, Sarkozy si è espresso più volte (ad esempio, al salone dell’aeronautica a Bourget il 23 giugno) a favore di “un deprezzamento competitivo” dell’euro: “Perché non facciamo anche noi quello che fanno i cinesi con lo yuan, i giapponesi lo yen, i britannici con la sterlina e gli americani con il dollaro?”. Un deprezzamento dell’euro va a braccetto con una finanza pubblica meno restrittiva. Né Sarkozy né Christine Lagarde ne hanno parlato apertamente a Bruxelles alla recente sessione dell’Eurogruppo e dell’Ecofin. Tuttavia, non è un’idea (peraltro ancora non ben precisata nei suoi aspetti tecnici) unicamente del Capo dello Stato e del suo staff. Un’analisi di Jean-Pierre Patat , a lungo direttore del sevizio studi della Banque de France ed ora al Centro di studi , previsioni e informazioni internazionali, sostiene tesi analoghe e pone l’accento che (nel nuovo trattato europeo) si dovrebbe pensare un Ministro europeo dell’economia (per fare da contrappeso alla Bce) piuttosto che ad un Ministro degli esteri. In effetti, quello che si chiede non è una manovra sul cambio (tecnicamente inconcepibile in regime di cambi flessibili quali quelli tra le maggiori aree monetarie) ma una politica economica europea maggiormente orientata verso la crescita che verso la stabilità dei prezzi. In un momento in cui la Bce minacci di allineare i tassi europei a quelli Usa (il cui pil cresce a quasi il 3% il danno ed il cui tasso di disoccupazione è al 4,5% delle forze lavoro).

In un primo approccio con l’Eurogruppo e l’Ecofin, Christine Lagarde, non è entrata nei dettagli in attesa dell’approvazione del ddl sull’occupazione, il lavoro ed il potere d’acquisto e della messa a punto della “loi de finance”. Il programma economico del governo pare diventare sempre più eclettico al fine di mantenere consensi che parevano sfuggire ed acquisirne di nuovi. Cristian de Boissieu, Presidente del Consiglio di analisi economica, e Jean-Hervé Lorenzi, Presidente del “Circle des Economistes”, affermano che “il pacchetto fiscale” (malvisto da Bruxelles in quanto potrebbe mettere a repentaglio gli obiettivi di finanza pubblica) è soltanto una prima tappa “per dare una scossa” all’economia. “In un secondo momento interverremo per realizzare, entro il 2008, riforme strutturali in materia di università, ricerca, mercato del lavoro e funzionamento della Pa”. Non si possono, però, escludere sorprese “Il metodo Sarkozy – afferma il saggista Nicolas Baverez- si regge su quattro principi:

1) impegno diretto del Capo dello Stato che prende su di sé le responsabilità politiche dell’intero Esecutivo;

2) apertura simultanea di riforme in più campi (dall’economia alla giustizia) al fine di destabilizzare le corporazioni e defatigare l’opposizione;

3) negoziati brevi e serrati non tirati per le lunghe (come quello in corso in Italia sulle pensioni e secondo la prassi dell’Ue);

4) la ricerca di appoggi presso le forze economiche e sociali”.

E’ il ritorno alle origini della Quinta Repubblica , concepita come un sistema proteso all’azione. Tanto quanto basta per rendere nervosa Bruxelles. Ed alcuni Paesi dell’Ue dove imperversa la lentocrazia.