La sconfitta dei democratici nell’analisi dell’American Enterprise Institute
06 Novembre 2010
Perché i Repubblicani hanno vinto le elezioni di Medio Termine? Come mai fette intere di elettorato indipendente e democratico, questa volta hanno voltato le spalle all’Asinello per mettere la croce sull’Elefantino? Il 4 novembre, raccolti tutti i dati sul voto e sull’affluenza alle urne, Karlyn Bowman, Michael Barone, John C. Fortier, Henry Olsen e Norman J. Ornstein ne hanno parlato, per due ore, a un pranzo-evento dell’American Enterprise Institute (AEI) di Washington, sviscerando ogni singolo aspetto di una sconfitta prevedibile (per i Democratici). L’AEI è una colonna portante del conservatorismo americano. Da più di mezzo secolo è uno dei primi think tank negli Usa. Ha contribuito e contribuisce tuttora a fornire idee-guida per la democrazia statunitense, il libero mercato e una politica estera atlantica. L’incontro con i suoi analisti politici è un punto fermo nel marasma di interpretazioni mediatiche nei giorni post-elezioni. Mai seriosi, mai supponenti, sempre con la battuta pronta, i cinque analisti hanno intrattenuto e informato una platea numerosissima, al 12mo piano della sede dell’AEI (sulla 17ma Strada, non lontano dalla Casa Bianca), in un salone in cui si può ammirare il panorama di tutta Washington, DC. E della sua scena politica.
Karlyn Bowman esordisce con un dato impressionante: “Per la terza volta nella storia delle elezioni, gli indipendenti (gli elettori non registrati in alcuno dei partiti) hanno votato contro il partito di governo, questa volta al 55,39%. E’ cambiata la composizione ideologica dell’elettorato: il 41% si definisce conservatore, il 9% in più rispetto al 2006. I liberal erano e restano attorno al 18%. Cambia la composizione di genere: c’è ancora un ‘gender gap’, con le donne che si dividono fra repubblicane e democratiche e gli uomini prevalentemente repubblicani. Quel che sorprende, in queste elezioni, è il fatto che i Repubblicani abbiano conquistato il maggior numero di voti femminili dal 1980 ad oggi. Afro-americani e giovani, le chiavi del successo di Obama, sono andati a votare meno che nell’elezione precedente: appena la metà di quelli che si erano recati alle urne nel 2008 è tornata a votare”.
Cosa ha influito maggiormente sulle decisioni degli elettori. “Non stupisce che sia l’economia l’interesse principale di chi è andato o non è andato a mettere il suo voto”, sottolinea la Bowman. “Solo il 14% degli elettori ritiene che la propria situazione finanziaria sia migliore rispetto a due anni fa. Se si chiede agli elettori cosa vogliano dallo Stato, il 38% si dice a favore di un maggiore intervento pubblico, ma il 56% vorrebbe meno Stato. Solo in quattro stati prevale l’opinione filo-statalista: Connecticut, Delaware, Hawaii e New York”. L’economia ha provocato uno dei più grandi successi nella storia del Grand Old Party: 64 seggi conquistati, la più vasta conquista repubblicana del Congresso dal 1938, come sottolinea John Fortier. Alla Camera, i Repubblicani hanno conquistato 24 nuovi distretti, contro i 20 espugnati dai Democratici. In genere il Grand Old Party ha riconquistato quasi tutti i distretti che aveva perso nelle due elezioni precedenti.
“I colletti blu hanno votato massicciamente per il Partito Repubblicano, il 19% in più rispetto al 2008” – spiega Henry Olsen – “più di ogni altro gruppo sociale ed etnico. E stiamo parlando di una fetta di elettorato tradizionalmente sostenitrice del Partito Democratico”. Cosa è successo alla working class americana? “Si possono dare due ragioni differenti, per due gruppi distinti di colletti blu. Il primo gruppo è costituito dai lavoratori del Sud. Da trenta anni votano per il Partito Repubblicano e in queste elezioni hanno confermato la tradizione. La vera novità è la vittoria del Partito Repubblicano nei distretti industriali del Nord, alcuni dei quali (nel Minnesota, ad esempio) votavano democratico dal 1946. Votano il Gop soprattutto perché sono preoccupati dalla piega che l’economia del Paese sta prendendo con l’amministrazione Obama”.
Michael Barone, cifre alla mano, dimostra come i Repubblicani ora controllino la maggioranza degli Stati più popolosi. I singoli stati sono “dei laboratori di riforme”, come ricorda Barone: “anche i Democratici hanno dovuto intraprendere una serie di riforme nei loro programmi di welfare state. E’ dimostrato che gli stati che consumano più tasse, quali New York, California e Illinois (in tutti e tre i Democratici sono quasi ininterrottamente al potere da decenni, ndr) presentano immensi problemi finanziari, infrastrutturali e previdenziali. Alla fine sono i maggiori beneficiari dei trasferimenti federali e dei piani di stimolo dell’economia. Il collasso finanziario dello stato di New York del 1976, potrebbe ripetersi, anche negli altri stati più a rischio, entro i prossimi due anni”.
“Il reaganismo è morto, si diceva nel 2008. Ma le elezioni di medio termine del 2010 hanno ribaltato completamente tutte le previsioni di due anni fa” – constata Ornstein. Che cosa ha determinato un simile ribaltamento di idee e scelte dell’elettorato. “La delusione, la frustrazione di aspettative esagerate” è parte della spiegazione. Ornstein sceglie una vecchia barzelletta come metafora: “Nel primo anno di anatomia, il professore chiede agli studenti: ‘Quale organo, appropriatamente stimolato, cresce di 8 volte rispetto alla sua dimensione abituale?’. Il professore si guarda in giro e indica una studentessa. ‘Miss Richards, vuole rispondere lei?’. Ma questa arrossisce e non risponde. Allora il professore ne chiama uno studente maschio: ‘Mr. Hendricks, lo dica lei’. E Mr. Hendricks, tranquillo: ‘La pupilla, quando si dilata per vedere nel buio’. ‘Bene Mr. Hendricks. E ora torniamo a lei, Miss Richards’, risponde il professore: ‘Ho tre cose da dirle: primo, non ha studiato. Secondo: lei ha una mentalità perversa. Terzo: vivrà una vita di aspettative frustrate”. Lo stesso problema che ora affligge i liberal: quelli che nel 2006 e nel 2008 avevano votato i Democratici e poi Obama, credendo di aver incontrato un nuovo Messiah.