La sentenza Eternit dimostra la necessità di uno Stato (liberale)
16 Febbraio 2012
“E’ stata una sentenza storica – si è letto sui giornali – quella del processo Eternit a Torino: per la prima volta, sono stati condannati i vertici di una multinazionale, per i disastri provocati dalle loro filiali nel mondo”. Il Teatro Stabile di Genova, perché non si dimentichi la tragedia di Casale Monferrato, mette in scena – dal 22 al 26 febbraio -uno spettacolo, Malapolvere.
Veleni e antidoti per l’invisibile, nato da un progetto di Laura Curino, Lucio Diana, Alessandro Bigatti ed Elisa Zanino e liberamente tratto da Mala polvere della casalese Silvana Mossino. I toni trionfalistici, questa volta non sono eccessivi: si tratta effettivamente “del maggior processo penale che si sia mai celebrato per un disastro ambientale provocato da un luogo produttivo”.
E’ fuori luogo, invece, l’implicita accusa ,che si è letta su alcuni giornali, al liberalismo selvaggio, al capitalismo cinico e crudele. In realtà, quella sentenza va salutata come il trionfo di John Locke ovvero del padre nobile del liberalismo inglese che, nel suo Secondo trattato sul governo civile(1690), aveva fatto della libertà, della proprietà e della vita i diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino che nessun potere (legislativo, esecutivo federativo) e nessuna forma di governo avrebbero potuto manomettere.
Neppure un Parlamento liberamente eletto dal popolo “può assolutamente esercitare l’arbitrio sulla vita e i beni del popolo. Non essendo infatti se non il potere congiunto di ciascun membro della società, conferito a quella persona o assemblea che appunto legiferano, non può essere nulla più di quanto quelle persone possedevano nello stato di natura prima di entrare in società e che hanno rimesso alla comunità.
Nessuno infatti può trasferire ad altri più potere di quanto non abbia, e nessuno ha, su se stesso o su altri, un assoluto arbitrario potere di togliersi la vita o strappare ad altri la vita o i beni.|…| E non avendo nello stato di natura alcun potere arbitrario sulla vita, sulla libertà o sui beni altrui, se non quello che la legge di natura gli ha dato in vista della conservazione di sé e del resto del genere umano, questo è tutto ciò ch’egli rimette, o può rimettere, allo Stato e, attraverso questo, al potere legislativo, onde il legislativo non può possederne più che tanto”.
Forse i liberali, in un’età industriale ma ancora in gran parte pretecnologica, avevano troppo posto l’accento sulla ‘libertà’ e sulla ‘proprietà’, minacciate, l’una, dai moderni dispotismi, l’altra, dalle pretese crescenti della democrazia sociale. E’ tempo ora, dinanzi alle minacce che fanno gravare sull’ambiente sistemi di produzione pericolosi e inquinanti, che rivendichino, con orgoglio, anche la protezione della vita ovvero la terza, ma non ultima ragione, del pactum societatis (insieme, appunto, alla libertà e alla proprietà).
La vicenda Eternit rivela tutta l’inconsistenza teorica e la mancanza di realismo di certe correnti del liberalismo ‘libertario’ (il liberalismo non può essere né socialista, né libertario, né cattolico né ateo, né di destra, né di sinistra: è liberalismo e basta!) che vorrebbero eliminare lo Stato, con i suoi tribunali, la sua pubblica amministrazione, i suoi corpi di polizia etc. Scrive Pascal Salin, nell’agile saggio Liberismo, libertà, democrazia. Concorrenza e innovazione (Di Renzo editore 2008) “Bisogna avere il coraggio di ammettere un punto fondamentale della politica delle nazioni occidentali: non esiste alcuna giustificazione alla esistenza dello Stato. Gli uomini potrebbero vivere – e vivere molto meglio – senza lo Stato, vale a dire senza l’esercizio della coercizione legale. Tutte le giustificazioni abituali per l’esistenza dello Stato, per esempio quelle che ci forniscono tradizionalmente gli economisti, tra cui il bene pubblico, la giustizia sociale, e così via, non sono altro che alibi ideologici”.
Sennonché è il principe degli economisti liberali francesi dell’800 a dare la risposta appropriata. Frédéric Bastiat, nello stesso scritto in cui aveva affermato una frase spesso citata da Salin e dagli anarco-capitalisti:” lo STATO è la grande finzione attraverso la quale TUTTI si danno da fare per vivere a spese di TUTTI” rilevava, in chiusura di discorso, “Quanto a noi, riteniamo che lo Stato non sia e non debba essere altro che una forza comune, istituita non per essere uno strumento di oppressione e di reciproco sfruttamento tra i cittadini, ma, al contrario, per garantire a ciascuno il suo e far sì che regnino la giustizia e la sicurezza” (v. Frédéric Bastiat, Il potere delle illusioni, Ed. Guida, Napoli 1998). Dove è forse superfluo rilevare, che per ‘giustizia’ il giovane economista intendeva il rispetto assoluto dei diritti che compongono il tripode lockeano (libertà, vita, proprietà).
Salin è un teorico da non sottovalutare: le sue critiche all’interventismo, all’economia keynesiana, alle distorsioni mentali dell’accademia, alle grandi, intramontabili, illusioni delle sinistre, marxista e socialdemocratica,-critiche confluite tutte nel corposo Liberalismo, tr.it. Rubbettino 2002 – sono ventate di aria primaverile nelle stanze buie e maleodoranti della political culture contemporanea, europea ma anche, e in misura preoccupante, statunitense e canadese.
L’incomprensione del nesso tra ‘diritti individuali’ e stato moderno, però, è qualcosa che davvero non si riesce a comprendere se non come estremizzazione delle critiche liberali ottocentesche ai processi di centralizzazione -ma già nell’800 vi era chi, come Charles Dupont-White, rilevava, senza fuoruscire dalla democrazia liberale, quanto si lasciavano sfuggire quelle critiche e quelle esaltazioni, spesso poco meditate, delle ‘autonomie locali’ – e come lettura della dinamica totalitaria novecentesca definita in termini di approdo dello stato centralizzatore – in realtà, lo stato accentratore fu lo ‘strumento’ che rese possibile ai movimenti fascisti e comunisti il controllo totale della società civile ma non certo il loro mentore ideologico: l’idea di Stato moderno è associata alla certezza delle norme, all’immutabilità dei vari ordinamenti, a una rete di libertà e di divieti incompatibile con le effervescenze totalitarie, come, peraltro, mise in luce Hannah Arendt in una acuta pagina delle Origini del totalitarismo, parlando dei passaporti che, negli anni trenta, non garantivano più nulla.
Ma cerchiamo con qualche esempio concreto di mettere a fuoco ciò che sfugge ai libertarian delle due rive dell’Oceano. I diritti individuali (quelli ‘sacri e imprescrittibili’, per indulgere alla buona retorica)sono come le banconote nei nostri portafogli: a nessuno è lecito toglierci gli uni e le altre e, in una società liberale, le diseguaglianze – che riguardano, beninteso, le banconote non i diritti civili – purché derivanti dal merito, dell’individuo singolo o del congiunto dal quale eredita, non sono una giustificazione plausibile e ragionevole che autorizzi lo Stato a trasformarsi in Robin Hood, il fuorilegge della foresta di Sherwood “che toglieva ai poveri per dare ai ricchi”.
Tuttavia, sarebbe ingenuo non riconoscere che i diritti di chi ha pochi soldi in tasca rimarrebbero intoccabili ma senza alcuna protezione effettiva se, a rivendicarli e a farli valere ,fossero soltanto coloro che hanno subito un torto. I ‘poveri’ hanno gli stessi diritti dei ‘ricchi’: la proprietà di una capanna di legno sulle rive del Missouri è sacra quanto la proprietà della villa palladiana del ricco piantatore del Sud, ma, in mancanza dello sceriffo, chi darà al titolare della prima i dollari per assoldare la ‘sporca dozzina’ di pistoleri che lo farà rientrare in possesso del bene toltogli dal suo potente e prepotente vicino? I diritti dei poveri, insomma, sono ‘disarmati’ ed è per questo che, con buona pace di Salin,”lo Stato serve” ancora – almeno finché gli uomini non si siano convertiti tutti alla….bontà e al rispetto reciproco.
E’ prevedibile l’obiezione: il mercato è un gioco serio, chi si comporta male, chi non rispetta le regole ne viene espulso. Se metto in giro prodotti scadenti e merci avariate farò la fortuna dei miei concorrenti e, pertanto, l’interesse ’bene inteso’ mi consiglia di non ‘barare al gioco’. In tal modo, tuttavia, si rimuove la stessa profonda e sofferta saggezza che è alle origini del liberalismo classico ovvero la consapevolezza kantiana del ‘legno storto’- che, poi, è la ‘caduta di Adamo’ che giustifica tutti i congegni di pesi e contrappesi, divisioni e bilanciamenti dei poteri, dialettica di società civile e sistema politico, escogitati per contenere il genere umano, segnato dal peccato originale: se fossimo tutti buoni che bisogno ci sarebbe di poteri che limitino e controllino altri poteri? Come ben sapeva il Segretario fiorentino “ delli uomini si può dire questo generalmente: che sieno ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitori de’ pericoli, cupidi di guadagno; e mentre fai loro bene, sono tutti tua, ófferonti el sangue, la roba, la vita e’ figliuoli, come di sopra dissi, quando il bisogno è discosto; ma, quando ti si appressa, e’ si rivoltano”. (N. Machiavelli, Il Principe, cap.XVII). Sarà il mercato a operare la rivoluzione antropologica?
Quanti operano in un’economia libera, come in tutti gli altri ambiti sociali,cercano innanzitutto di incrementare le proprie risorse: se possono farlo, truccando i dadi senza doverne rendere conto, lo fanno molto volentieri. In fondo perché produrre buoni computer quando le Poste sono disposte a comprare quelli scadenti che costano poco e fanno guadagnare tanto? Le aziende alimentari, all’epoca delle guerre coloniali italiane, rifornivano l’esercito di pasta avariata: non dovendo cimentarsi con la concorrenza : perché non avrebbero dovuto approfittare dell’occasione di rifilare alle truppe combattenti cibi immagazzinati per troppo tempo e andati a male? In questi casi, chi vuole arricchire approfitta non di uno Stato forte (e accentratore!) ma di uno stato debole e corruttibile: se avessero operato nella Germania degli Hohenzollern, ai pastai italiani si sarebbero aperte le patrie galere. Il ‘regalo’del pessimo Stato non è soltanto il protezionismo: è anche l’assenza di controlli e il lasciare che quanti vendono e producono in un settore se la sbrighino da sé, rispettando o non rispettando le regole e i codici che si sono dati.
Se si possono fare soldi senza il fastidio di incomodi concorrenti, senza dover penare per offrire sul mercato prodotti tecnologicamente sempre più raffinati e in grado di superare i rivali, senza confronti serrati con i sindacati e senza le notti insonni per via dei deficit di bilancio, il rispetto delle regole può pure rinchiudersi negli armadi dei buoni propositi. In fondo, se l’azienda non vende, pazienza! Ci penseranno banche e governi a ripianare i debiti., con la soddisfazione di tutti, datori di lavoro e prestatori d’opera.
Quando si parla dell’”autoregolazione del mercato” non si sa quel che si dice. E’ vero che quando funziona il mercato ha una sua implacabile ‘logica’ (anch’essa non priva di ‘moralità’) che premia i produttori coscienziosi e rende più facile la vita ai consumatori che potranno acquistare più merci a prezzi sempre più ridotti. Ma chi rende possibile il funzionamento del mercato se non un potere ad esso esterno che, come il guardiano notturno della metafora liberale, vigila affinché nessuno possa imbrogliare al gioco e tutti siano tenuti a osservarne le regole? Al classico tavolo dei film western in cui impazza il poker, capita talora di vedere il ‘cattivo’ che, avendo perso tutto per un incauto ‘vedo!’, estrae la pistola e si riprende non solo le sue ma anche le fiches degli altri tre. Il poker, certo, non si ‘autoregola’ per volontà dei giocatori rapinati..a meno che tra essi non ci sia lo sceriffo Wyatt Earp. Uno sceriffo, appunto!
Tornando al caso della Eternit, ma davvero si pensa che una potente multinazionale (absit iniuria verbis, per me, ‘multinazionale’ non è una cosa cattiva), senza essere costretta a farlo, in qualche modo, sarebbe venuta incontro alle famiglie delle vittime? Senza uno stato forte—e forte perché limitato nelle sue funzioni e in grado di concentrare tutto il suo peso su quelle a lui riconosciute—senza la determinazione del potere giudiziario a tutelare uno dei tre diritti di John Locke, quali sanzioni sarebbero state inflitte ai dirigenti della Eternit?
Il problema è un altro e riguarda, semmai, il principio dei due pesi e delle due misure che viene adottato in tema di tutela ambientale e di sanità pubblica. Se a inquinare sono imprese pubbliche o semipubbliche o anche in eccellenti rapporti d’affari con le autorità locali, se tali, imprese danno lavoro a centinaia di operai, l’inquinamento e i malati di cancro ai polmoni – numerosi in certi quartieri genovesi della Valpolcevera – non occuperanno, certo, le prime pagine dei giornali e le statistiche mediche difficilmente allarmeranno l’opinione pubblica.
Anzi potrebbe riproporsi, mutatis mutandis, il copione del Nemico del popolo (1882) di Henrik Ibsen con un redivivo dr.. Stockmann, il medico dell’amena località norvegese, colpevolizzato da destra e da sinistra per aver scoperto che “le terme pubbliche, fiore all’occhiello della cittadina e apportatrici di innumerevoli villeggianti, erano appestate da inquinanti scarichi montani di conciatura delle pelli”.
Le lobbies e le corporazioni che hanno interesse a non far rispettare le regole del gioco (e del mercato) non recano soltanto un univoco segno sociale e ideologico. Al loro tentativo di disarmare lo Stato – o di armarlo soltanto nel loro interesse -, per i veri liberali, non si reagisce con l’utopica (e marxiana) scomparsa dello Stato ma col far sì che lo Stato sia il garante di tutti: “ una forza comune, istituita non per essere uno strumento di oppressione e di reciproco sfruttamento tra i cittadini”, come scriveva, appunto, il grande Fréderic Bastiat.