La sinistra odiava le intercettazioni

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

La sinistra odiava le intercettazioni

21 Maggio 2010

Giuseppe Caldarola, Giuseppe Giulietti, Franco Grillini e Marisa Nicchi, tutti dei Ds; Enzo Carra e Roberto Zaccaria della Margherita; Tana de Zulueta e Roberto Poletti dei Verdi; infine Salvatore Cannavò del Prc. Basta. Tutti gli altri, il 17 aprile 2007, alla Camera dei deputati, votarono tranquillamente la legge Mastella che proibiva la pubblicazione di carte e intercettazioni anche solo per "riassunto", esattamente come si vuole fare oggi. I sì furono 447, i no neanche uno e gli astenuti nove. Quella legge fu sostenuta da tutti i gruppi parlamentari. Ricordiamo che Massimo D’Alema (secondo la Repubblica del 29 luglio 2007) commentò così: "Voi parlate di tremila euro, di cinquemila euro… ma li dobbiamo chiudere, quei giornali".

Questo non per sostenere che la sinistra avesse una posizione diversa, sul tema: difatti, di posizioni, ne ebbe almeno sei. Posizione numero uno: durante il governo Berlusconi sorto nel 2001, mentre dilagavano le intercettazioni sui furbetti del quartierino e sul governatore Antonio Fazio, la sinistra si disse disponibile a una neo-secretazione delle intercettazioni a mezzo delle multe salatissime proposte dal Guardasigilli Roberto Castelli: l’8 agosto 2005, infatti, il diessino Guido Calci rilasciò un’intervista a Il Giornale in cui denunciava "un vuoto normativo che va colmato al più presto", mentre da capogruppo Ds nella Commissione Giustizia si diceva d’accordo con Berlusconi sulla necessità di mettere mano alla normativa che regolava le intercettazioni, pur con una serie di distinguo. La convergenza tra il senatore diessino i sottosegretari Luigi Vitali e Giuseppe Valentino era totale: lo stesso Calvi, nel luglio 2001, aveva presentato un disegno di legge proprio sulla stessa materia (il n. 489) e la proposta di Calvi fu definita dal centrodestra "una buona base di partenza".

Era il periodo in cui il segretario diessino Piero Fassino denunciava un certo "voyerismo mediatico" e invocava "una normativa più adeguata": ma poi cambiò tutto di colpo. Posizione numero due: in Parlamento approdò un apposito disegno di legge firmato dal guardasigilli Roberto Castelli siamo all’inizio del 2006 e la sinistra si disse improvvisamente contraria: c’era la campagna elettorale alle porte. Vinse Romano Prodi, com’è noto, prima che una serie di accadimenti spianassero la strada alla terza progressiva posizione della sinistra sull’argomento: gli arresti del portavoce di Gianfranco Fini, Salvo Sottile, e di Vittorio Emanuele di Savoia, alias vallettoli e calciopoli, un’orgia di intercettazioni sui giornali. L’allora senatore dell’Unione Antonio Polito propose addirittura una commissione d’inchiesta sulla diffusione selvaggia delle intercettazioni (non da solo) e questo per "sanzionare i giornali" e "limitare lo strumento investigativo in mano ai pm"; l’idea fu sottoscritta, tra molti altri, dai diessini Gavino Angius e Tiziano Treu.

I verbali

Il problema è che cominciavano a circolare i verbali con le intercettazioni telefoniche tra alcuni parlamentari diessini e alcuni indagati nelle inchieste sulle scalate Antonveneta, Bnl e Rcs. Disse allora il ministro dell’Interno Giuliano Amato (Repubblica, 12 giugno 2007): "Non è possibile che dalle sedi giudiziarie esca tutta questa roba, è una follia tutta italiana". Disse Piero Fassino ai microfoni di Sky Tg24, stesso giorno "È chiaro che qui si punta a colpire l’onorabilità del partito e di qualcuno di noi". Disse il presedente della Camera Fausto Bertinotti, sempre quel giorno: "C’è un problema in termini nuovi, ci sono distorsioni nel sistema". Ed è su questa quarta posizione, la più decisa e sostenuta, che entra in scena il ministro della Giustizia Clemente Mastella: il 28 luglio propone un disegno di legge di 15 articoli che sembrava una dichiarazione di guerra.

Tra i propositi: multe da 5mila a 60mila euro; divieto totale di pubblicazione degli atti anche se solo riassunti sino alla conclusione delle indagini preliminari; fascicolo del pm segretato sino alla sentenza d’appello; limiti temporali alla possibilità d’intercettare. Eccetera.

È qui che secondo Repubblica s’inserisce la citata frase D’Alema, così completata: "Ci sono stati episodi scandalosi in cui materiale senza nessuna attinenza con l’inchiesta è andato a finire sui giornali. E anch’io ne sono stato vittima".

Le polemiche continuarono e il provvedimento venne limato e ri-limato. Mario Pirani, su Repubblica, si spinse a scrivere: "Se Berlusconi dettava leggi ad personam, qui siamo di fronte a una legge ad personas, intesa cioè nell’interesse della classe politica". Passata l’estate, questa quarta posizione della sinistra continuò a essere condivisa anche dal centrodestra (c’era divergenza solo sull’entità di multe e sul periodo di detenzione per chi avesse sgarrato) ma occorse attendere sino all’aprile 2007 prima di andare al voto. I voti li abbiamo visti. S’indignarono solo il solito Di Pietro e vari portavoce come Marco Travaglio, che scrisse: "Esiste una vasta gamma di comportamenti che, pur non costituendo reato, restano riprovevoli o comunque interessanti e devono giungere alla conoscenza dei cittadini". A sinistra, in compenso, l’onorevole Lanfranco Tenaglia della Margherita definì la legge "un punto di equilibrio alto e nobile" al pari di Gaetano Pecorella (Forza Italia) che parlò di "buona riforma varata col contributo dell’opposizione". Poi vabbeh, la legge si arenerà al Senato e resterà lettera morta, come il governo Prodi. 

Parla Veltroni

La quinta posizione è del 2008, durante la campagna elettorale: Walter Veltroni si riallacciava all’abortita legge Mastella auspicando "il divieto assoluto di pubblicazione fino al termine dell’udienza preliminare", con tanto di "sanzioni penali e amministrative molto più severe". La posizione venne ribadita da Veltroni durante un Porta a Porta del 13 febbraio 2008. Ma la quinta posizione non fece che precedere la sesta: l’8 giugno dello stesso anno i Ds si accodarono ad Antonio Di Pietro che a sua volta si era accodato all’Associazione nazionale magistrati.

In soldoni: i provvedimenti annunciati erano "gravi e sbagliati", mentre per quanto riguarda la privacy dei cittadini "è responsabilità degli stessi magistrati che le intercettazioni restino segrete". Coi meravigliosi risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

Tratto da Libero