La Siria non molla la presa sul Libano

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La Siria non molla la presa sul Libano

29 Settembre 2007

Pochi giorni dopo il misterioso attacco israeliano sui cieli
della Siria, Antoine Ghanem, il deputato libanese del blocco antisiriano ‘14
Marzo’ è stato assassinato a Beirut. Ghanem é stato ucciso da un’autobomba due
giorni dopo essere rientrato in Libano da un lungo soggiorno all’estero, dove
come molti altri parlamentari antisiriani si trovava per sfuggire a possibili
attentati. Era rientrato per partecipare alle elezioni presidenziali, previste
a partire dal 23 settembre. Il fatto che sia stato ucciso a poche ore dal
rientro la dice lunga sulla sicurezza dei politici in Libano e sul livello di
penetrazione dei servizi di sicurezza che dovrebbero proteggerli. L’assassinio
fa parte di una chiara strategia di eliminazione e intimidazione dell’attuale
maggioranza antisiriana, in nome di una cruda aritmetica: a furia di uccidere
deputati e ministri (8 in 3 anni) la maggioranza perderà prima o poi il quorum
per eleggere un presidente inviso a Damasco e a Hezbollah. Alcuni li si ammazza
– Ghanem, 64 anni e membro della Falange non era un politico di primo piano – e
altri li si spaventa. L’obiettivo di questo gioco al massacro naturalmente è di
impedire al Libano e alla sua attuale maggioranza di eleggere un candidato
antisiriano che apra le porte a una maggiore cooperazione con l’Occidente, a
una più puntigliosa attuazione della risoluzione ONU 1701 – che impone il
disarmo di Hezbollah – e a un’accellerazione dell’istruttoria del tribunale
internazionale per l’assassinio del premier libanese Rafiq Hariri, ammazzato in
un’altra autobomba il 14 febbraio 2005 a Beirut insieme ad altre 22 persone.

La spudoratezza di Damasco in questa partita deriva da due
constatazioni: la prima è che l’Occidente, l’Europa in particolare, non si
spingerà molto oltre la retorica nel condannare la Siria. Se il prezzo da
pagare è un ritardo della ratifica dell’accordo di associazione con l’Unione
Europea – la spada di Damocle che l’Europa agita sopra la testa di Damasco –
vale la pena pagarlo se Damasco riesce a tenersi il Libano in cambio. La
seconda è che il Libano è, per Damasco, così centrale non solo ai suoi
interessi geostrategici ma alla sua matrice ideologica di campione radicale del
panarabismo ba’athista, da avere la precedenza su ogni altra considerazione e
da meritare qualsiasi rischio pur di non farselo sottrarre.

Prova di questo è il fatto che, lungi dal lanciare una
rappresaglia contro Israele, Damasco ha concentrato le proprie energie e
risorse a eliminare un altro membro del fronte antisiriano in Libano. A molti
sarà sfuggita la correlazione tra i due eventi, ma in un certo senso essa
esiste. Molti si aspettavano – o temevano – che la Siria rispondesse
all’attacco israeliano manu militari. Certamente, le tensioni al confine
siro-israeliano rimangono e la caduta di un razzo lanciato da Gaza su una base
militare israeliana nel Negev tre giorni dopo il raid aereo desta sospetti. Non
solo per la natura militare dell’obiettivo ma anche per il tipo d’arma
utilizzata – secondo fonti militari non si tratta del solito razzo Qassam ma di
un più preciso razzo da 122 millimetri – probabilmente una Katyusha.

Come in passato, Damasco può rispondere alle provocazioni
israeliane sfruttando i suoi clienti e non necessariamente provocando
un’escalation sul confine. Tuttavia, il punto dell’assassinio di Ghanem non è
che la Siria risponde a Israele massacrando un politico libanese perchè è più
facile prendersela con i deboli. Il punto è che per la Siria il Libano è molto
più importante del Golan. La Siria ha cercato per un anno di rafforzare il proprio
deterrente strategico nei confronti d’Israele, contando che la minaccia di una
guerra potesse spingere lo stato ebraico a riaprire il negoziato sul Golan da
una posizione di debolezza, scaturita dall’esito negativo della guerra nel sud
del Libano nell’estate del 2006. Una posizione forte nei confronti d’Israele
significa anche una posizione forte nel mondo arabo e nei rapporti con gli
Stati Uniti, e permette alla Siria di accampare pretese non solo sulle alture
del Golan ma anche sul Libano nel quid pro quo con Israele e l’Occidente. La
Siria quindi può permettersi di essere umiliata da Israele sui propri cieli,
perchè tale perdita nel deterrente significa soltanto un rinvio dei tempi di
ritorno del Golan alla sovranità siriana. Una simile azione non pregiudica le
ambizioni siriane in Libano, che invece la Siria non può permettersi di
perdere.

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Ecco dunque perché la Siria sceglie di rispondere in Libano:
per riaffermare le proprie rivendicazioni egemoniche, e indicare che almeno lí,
é ancora Damasco a dettare legge. Il messaggio vale anche per Israele: il
Libano, in definitiva, offre una risorsa strategica infinitamente più
importante per la Siria (e per l’Iran) nello scontro ideologico con il ‘nemico
sionista’, oltre che essere il pezzo mancante – insieme alla Palestina – del
sogno pan-siriano della Grande Siria. E finché il Libano rimane sotto
l’egemonia siriana e la penetrazione iraniana, Israele non dormirà mai sonni
tranquilli, a prescindere dalla sua abilità di penetrare le difese siriane e
danneggiarne l’infrastruttura militare impunemente.

Le elezioni presidenziali libanesi, ora rimandate al 23
ottobre, minacciano la Siria più di ogni altra cosa, raid israeliani compresi.
La maggioranza del ‘14 marzo’ potrebbe eleggere un presidente antisiriano che,
sostituendo l’attuale presidente, il filosiriano Emile Lahoud, comprometterebbe
ulteriormente gli interessi siriani nel paese dei cedri. L’assassinio di Ghanem
ha ulteriormente ridotto i margini della maggioranza e ne ha spaventato alcuni
componenti. Ora il rinvio delle elezioni, in nome di un negoziato mirato a
identificare un candidato del ‘consenso’ nazionale, danno agli architetti della
strategia della tensione un altro mese per poter intimidire e ammazzare chi
s’intestardisce a minacciare gli interessi siriani.

Gl’israeliani avranno avuto le loro ragioni per colpire un obiettivo
in Siria. Ma la vera partita con Damasco non si gioca sul Golan o
nell’equilibrio strategico tra Damasco e Gerusalemme. E’ a Beirut che Damasco
si gioca tutto, ed é a Beirut che Damasco va messo alle strette.