La storia di Bruno Contrada, dal SISDE al carcere fino alla malattia
27 Dicembre 2007
Chiedere la grazia a favore di Bruno Contrada non significa
voler spaccare l’opinione pubblica tra colpevolisti e innocentisti. Chi si
schiera a favore dell’uscita dal carcere dell’ex dirigente del SISDE non vuole
infangare il nome dei tanti onesti e irreprensibili servitori dello Stato,
morti per mano della mafia, su tutti Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, né
capovolgere l’ultima decisione della Cassazione che a maggio scorso ha
confermato la sentenza di primo grado e condannato l’ex funzionario di Polizia
a 10 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa.
Chi oggi cerca di sensibilizzare il Presidente della
Repubblica è spinto da quel senso di “Pietas” che, cattolici e laici, devono
provare nei confronti di una persona malata. La cartella clinica di Bruno
Contrada non è delle migliori, non si alimenta regolarmente più da settimane, è
un uomo segnato dall’età, 76 anni, dal diabete e aprirgli i cancelli del carcere
non significa consegnarli un futuro radioso e privilegiato, bensì,
probabilmente, consentirgli semplicemente di morire fuori le sbarre, accanto ai
suoi parenti e potendo usufruire di una migliore assistenza medica.
Non si indigni, quindi, l’Associazione dei familiari delle
vittime di via dei Georgofili, la Fondazione Caponnetto e Rosanna Scopelliti –
figlia del magistrato calabrese primo titolare della pubblica accusa in
Cassazione del maxi-processo a Cosa nostra. Non si indigni nemmeno Rita Borsellino,
quando afferma: “Ritengo
questa ipotesi (la grazia a Contrada ndt) estremamente grave. Contrada
è stato condannato per reati commessi tradendo la sua funzione di servitore
dello Stato, quello stesso Stato per il quale Giovanni Falcone, Paolo (Borsellino
ndt) e tanti altri rappresentati delle istituzioni hanno consapevolmente dato
la vita”.
Sono passati 23 anni da quando Tommaso Buscetta per primo
parlò così di Contrada: “%3Cspan style=”color: black;”>Ho saputo da Rosario
Riccobono che Contrada gli passava informazioni sulle operazioni della polizia”.
Il giudice istruttore dell’epoca, Giovanni Falcone, successivamente
archiviò il caso. L’inchiesta è stata riaperta nel
rivelazioni di Gaspare Mutolo. In questo stesso anno – il 1992 – Contrada viene
arrestato e inizia il suo calvario giudiziario. Si apre una maglia fittissima dove
le accuse dei pentiti pesano come macigni sul giudizio finale del processo e
che cancellano quanto l’ex funzionario ha fatto per lo Stato.
Contrada per anni al SISDE ha dovuto svolgere lavoro sporco
per carpire notizie dagli ambienti mafiosi e poi girarle ai giudici, in tempi
in cui i pentiti ancora non esistevano, le intercettazioni ambientali neanche e
per lottare contro la mafia era necessario entrare nel giro dei confidenti con
il rischio di essere uccisi o venire accusati di essere il confidente del
confidente.
Il 16 luglio 1980, il giudice istruttore Giovanni Imposimato
manda una richiesta di encomio al Capo della Polizia e della Criminalpol. Nella
lettera si legge: “Sento il dovere di esprimere Loro il mio vivo compiacimento
per l’attività investigativa svolta dal Dr Bruno Contrada e dal Dr Vittorio
Vasquez della Criminalpol di Palermo nel corso di complesse e delicate indagini
relative alle attività criminose svolte a Roma, Milano, Palermo e negli Stati
Uniti da pericolosi elementi appartenenti al crimine organizzato italo –
americano, dediti al traffico di stupefacenti, all’esportazione di valuta e ad
attività delittuose collegate…”.
“Il Dr Contrada e il Dr Vasquez – prosegue la richiesta di
encomio – hanno raccolto, pur tra notevoli difficoltà dell’ambiente dominato
dalla paura e dall’omertà, una serie di precisi elementi comprovanti le
attività illecite…”. A conclusione della missiva si legge: “Le precise e
circostanziate risultanze delle indagini di polizia giudiziaria, apprezzate
anche dagli investigatori dell’F.B.I., hanno consentito l’emissione da parte
del Giudice di 8 mandati di cattura nei confronti di persone implicati in
gravissimi delitti in Italia e negli Stati Uniti”.
Anche Giovanni Falcone si espresse in favore di Contrada
scrivendo al Questore di Palermo: “Mi è gradito esternarLe i miei più vivi
ringraziamenti per la intelligente e fattiva collaborazione della Squadra
Mobile e della Criminalpol di Palermo nelle indagini istruttorie relative al
procedimento penale contro Rosario Spatola ( poi divenuto pentito e un
collaboratore di giustizia chiave al processo contro Contrada ndt) ed altri,
imputati di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti
e di altri gravi delitti”. Falcone continua: “ Mi consenta di segnalare, in
particolare, il dott. Bruno Contrada, dirigente della Criminalpol Sicilia, il
dott. Ignazio D’Antona, dirigente della Squadra Mobile di Palermo, il
vicequestore dott. Vittorio Vasquez…”. Infine, conclude il giudice tragicamente
scomparso nella strage di Capaci del ’92: “…I quali, pur in mancanza di
strutture adeguate rispetto alla gravità ed alle dimensioni del fenomeno
mafioso, hanno portato allo scrivente continua e incisiva assistenza,
rivelando, altresì, nel compimento di indagini delicate, ottime doti di
capacità professionali”. Buscetta accuserà
Contrada di collusione con la mafia solo nel 1984.
Inoltre, dopo la morte di Boris Giuliano, capo della Squadra
mobile di Palermo, il 7 febbraio 1981 Bruno Contrada consegna un rapporto
giudiziario nel quale denuncia mandanti ed esecutori del delitto Giuliano. Il
rapporto a distanza di anni renderà merito al lavoro investigativo di Contrada.
Racconta Lino Iannuzzi, che la moglie di Contrada, Adriana,
si trovava nella stanza dell’ospedale di Palermo dove avevano trasportato
d’urgenza il marito, svenuto nell’aula del tribunale, quando il pm aveva
introdotto l’ennesimo pentito che lo accusava di intelligenza con la mafia. Bruno
Contrada, riaprendo gli occhi nella sala di rianimazione, gridò: “Vogliono
annientarmi…”. Aveva implorato che lo lasciassero morire, aveva tentato di
impadronirsi della pistola del carabiniere di guardia, aveva strappato dalle
mani dell’infermiere la siringa infilandosela nel collo.
Voleva cancellare quanto stava accadendo nella sua vita
cancellando la sua stessa vita. Bruno Contrada nonostante la malattia continua
a essere un uomo orgoglioso e professa ancora la sua innocenza. Oggi però è
gravemente malato e forse quello che cerca è ormai solo la morte, magari e
giustamente fuori del carcere di Santa Maria Capua Vetere.