La strategia della Cina: da Impero di Mezzo a Impero globale

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La strategia della Cina: da Impero di Mezzo a Impero globale

24 Luglio 2009

Sabato scorso aperto il Foglio, sono sobbalzato! Nel paginone centrale un bell’articolo di Daniele Raineri, inviato a Kabul, riportava un articolo del nostro mitico David Kilcullen – talmente mitico che abbiamo recensito il suo libro a febbraio. Come era possibile che mi fosse sfuggito? Come era possibile che non avessi scovato in rete questa primizia? La spiegazione è semplice e la do in modo che sia per tutti chiara: nella nostra rubrica settimanale tratto open sources, cioè fonti disponibili a tutti; cerco tra i blog, i centri studi, università, think thank e quant’altro, ma senza aprire il portafoglio (non per tircheria). Per esempio, non tratto analisi provenienti da istituti di ricerca che forniscono il loro lavoro, sempre ben fatto, solo agli abbonati. Il motivo è semplice: tutti i giornali dispongono di quelle informazioni e agenzie. A me sembra più interessante presentare le riflessioni (meglio sarebbe dire: l’annuncio degli approfondimenti) che spesso la stampa italiana o non riporta o lo fa con mesi di ritardo. Quindi ‘svelo’ le mie fonti, le metto a disposizione di tutti i lettori: l’unico filtro è il punto di vista personale per cogliere i fatti salienti. Tornando da dove si era partiti, quell’articolo di Kilcullen era possibile leggerlo solo pagando. Svelato il perché della falla nella mia rassegna settimanale.

Israele
Continua la pressione americana su Israele affinché blocchi l’insediamento dei “settlers” in Cisgiordania. Netanyahu, nonostante la voce grossa, sta seguendo la strada segnata da Obama, ma bisogna considerare le sue difficoltà. Infatti guida una coalizione di cui fanno parte la destra sia laica che religiosa, entrambe fermamente contraria all’idea di lasciare i territori. A questo difficile snodo politico è dedicato il report dell’International Crisis Group.

Afghanistan
Presentiamo un’analisi di quello che avviene in Afghanistan proveniente dall’Università di Singapore, punto di osservazione ben diverso da quelli occidentali. Le conclusioni sono amare: quel conflitto è invincibile, perché non riguarda solo l’aspetto militare, ma anche compiti di ricostruzione di strutture istituzionali e di soluzione di problemi economici che richiedono impegni a lunghissima scadenza. Ma non si sottovaluti l’aspetto militare: comunque si continuino a mandare truppe, che numero dovrebbero raggiungere, ad esempio, i circa 2500 soldati italiani per controllare una zona grande come il Piemonte?

In sostanza, in Afghanistan oggi si fronteggiano due visioni opposte: il “clear, hold and build” del generale Crystal e “l’Afghanistan sarà il nuovo Vietnam per Obama” dei talebani. Il Center for International Policy Studies di Ottawa offre così un consiglio alle forze occidentali presenti in Afghanistan e prima di tutti agli Stati Uniti. E’ l’ora di elaborare una exit strategy, cioè di definire in che cosa consista la vittoria che, dato l’impegno limitato, non può che essere anch’essa qualcosa di diverso da una vittoria totale. Quindi, obiettivo centrale della coalizione dovrebbe essere quello di rafforzare le istituzioni centrali e non di pacificare tutto il paese, target giudicato irraggiungibile.

Per chi capisce bene l’americano, ecco la registrazione di un dibattito radiofonico tra un gruppo di giornalisti statunitensi esperti del paese.

Pakistan
Dall’ Institute of South Asian Studies proviene questo documento sul conflitto tra Pakistan e talebani dal titolo eloquente: “Savaging or Salvaging the State?”. Anch’esso contiene un punto di vista che spesso i commentatori occidentali dimenticano. Se gli Sati Uniti vogliono avere un approccio multilaterale, non si dovrebbero solo concentrare sulle sfide terroristiche portate contro di loro, ma su tutti gruppi terroristici che agiscono in Pakistan, anche quelli che colpiscono l’India. Solo se i tre paesi, Stati Uniti, Pakistan e India, si ritroveranno intorno ad un tavolo e affronteranno i problemi dell’area, si potrà parlare di stabilità.

“L’islamizzazione del Pakistan, 1979-2009”. Questa pubblicazione parte dagli eventi del 1979 e sull’influenza che continuano ad avere sulla regione. Gli autori enfatizzano il fatto che molto del disordine che affligge quel paese abbia avuto inizio dalla presa del potere del generale Zia-ul-Hal, dal suo programma di islamizzazione dello stato e della società pakistana, politica che si andò ad intersecare con la rivoluzione islamica in Iran e con l’invasione sovietica dell’Afghanistan.

E’ un lunghissimo paper di 190 pagine, ma offre un’analisi completa delle interconnessioni che corrono tra eventi che spesso ci appaiono scollegati tra loro e che avvengono in contesti diversi. Ma invece sempre si tratta del Grande Medio Oriente dove tutto si tiene.

Da un altro punto di osservazione fondamentale, l’India, ecco una breve rassegna stampa sulla crisi afghano-pakistana (AfPak), letta da quattro punti di vista diversi: India, Pakistan, Afghanistan e Stati Uniti. La conclusione è amara: pochi analisti sono ottimisti sugli sviluppi futuri.

Iraq
Obama e il presidente iracheno Maliki hanno discusso della crescente tensione, che non accenna a diminuire e che anzi è sfociata in violenti scontri a fuoco, tra curdi e governo centrale riguardo al destino della città multietnica di Kirkuk e ai pozzi petroliferi che la circondano.

Iran
Dopo le proteste dello scorso mese, quello che certo è che nella leadership teocratica iraniana è venuta a crearsi una spaccatura sena precedenti. Rimane da vedere se la spaccatura raggiungerà anche le forze di sicurezza e l’esercito, perché se si raggiungesse anche questo risultato (evento possibile vista la linea di frattura esistente tra milizie e le forze amate vere e proprie), le possibilità di successo per un cambiamento di regime aumenterebbero enormemente.

 Cina
Sempre dalla nostra nuova new entry asiatica, un paper sulla situazione degli Uiguri in Cina. L’osservazione sollevata è pertinente. A differenza di altre minoranze etniche duramente represse dal regime, questa, a causa della religione mussulmana, ha forti rapporti internazionali e protettori politici, più o meno interessati, dalla Turchia ad Al Qaida, che utilizzano ogni tipo di strumenti di pressione. E la Cina deve stare attenta a gestire questa crisi.

Dall’Università di Honolulu, Stati Uniti, arriva prontamente proprio una focalizzazione sulle storiche tensioni (“etno-diplomazia”, la chiama l’autore) tra Cina e Turchia riguardo alla regione dello Xinjiang.

Alla Cina è dedicato anche questo importante report sulla sua strategia globale o grand strategy. Data l’importanza dell’argomento, ecco una breve sintesi delle tesi espresse:

1)      “A causa degli attuali interessi economici globali, la Cina sta espandendo a livello globale i suoi interessi politici e di sicurezza”;

2)      Questo nuovo contesto mette la Cina e i suo leader in una terra incognita perché il Partito comunista cinese non ha nessun precedente storico a cui rifarsi”;

3)      Dato il bisogno cinese per le materie prime, a partire dal petrolio, è certo il suo interesse verso i paesi dell’Africa, America Latina e Medio Oriente;

4)      Per la prima volta da quando esiste la Repubblica Popolare, il suo esercito di liberazione si sta organizzando non più per difendere le frontiere, ma come forza di proiezione;

5)      Alla classica propaganda sovversiva internazionale dei Partiti Comunisti, la Cina sta ora unendo interessi de facto tesi a cambiare l’ordine mondiale: la Cina è adesso una potenza revisionista;

6)      Rimane incerto se il sistema Cina riuscirà velocemente a coordinare i sottosistemi – dal governo a tutti i centri decisionali – tra loro in modo coerente”.

Quindi, visto la rilevanza, leggete per intero il paper!

Guerra asimmetrica
La prestigiosa rivista Journal of Strategic Studies pubblica (qui una recensione, il testo è a pagamento!) un numero dedicato alla differenza nei modi di combattimento contro le insorgenze, rivoluzioni e quant’altro che vi sono tra britannici e americani. E’ un tema classico che ritorna spesso: mentre l’esercito americano è più incline a trovare risposte che si basano sulla forza, sulla superiorità tecnologica e logistica, l’esercito di sua maestà si dedica ad una politica di conquista dei “cuori e delle menti” della popolazione. E’ una differenza che risiede nella diversa esperienza storica dei due paesi, uno piccolo con un grande impero da controllare, l’altro enorme e potente e con una scarsa vocazione a governare il mondo con le armi (preferisce affidarsi al mercato, alla finanza e alla marina).

http://leonardotirabassi.blogspot.com/