La supremazia delle élite secondo Eugenio Scalfari
23 Gennaio 2018
Il liberalismo concreto di Münchau, il narcisismo elitista di Scalfari. “I am no fan of grand coalitiones, wich end up strengthening extremist parties” scrive Wolfgang Münchau sul Financial Times del 15 gennaio: non sono un fan delle grandi coalizioni che finiscono per rafforzare le tendenze estremistiche. “Mi sono azzardato a dire che la sinistra – antica o moderna – non c’è più”: così Eugenio Scalfari sulla Repubblica del 14 gennaio. La posizione del giornalista del Financial Times è quella di un liberale concreto e onesto, fermo nei suoi principi ma consapevole della realtà effettuale della politica. Il “Fondatore”, oltre che narcisista, è anche sempre più teorizzatore esplicito della necessità di una supremazia elitista: leggendo (male) classici come Pareto o Mosca, si è convinto come la forma (il potere si esercita attraverso ceti specializzati e largamente autonomi) sia anche la sostanza di un regime parlamentare, che certamente agisce in una situazione poligarchica, ma che non è – quando la democrazia funziona fisiologicamente – oligarchica (come sostiene Scalfari) ed è particolarmente forte e autorevole quando non è autoreferenziale, ed è legato cioè sostanzialmente alla società. Il che storicamente avviene “solo” attraverso una divisione della politica tra destra e sinistra. Oggi tra godurie per le grandi coalizioni, Nazareni romani (e calabresi), svuotamento dei parlamenti, napoleonismo da commessi viaggiatori, quelli che vogliono svuotare il senso della partecipazione politica democratica costituiscono una folta congrega. Il fatto che siano benedetti dal Fondatore non dovrebbe portare, secondo una prassi consolidata, a questa congrega troppa fortuna.
Le serene valutazioni di Flavio Tosi su Matteo Salvini, un po’ come quelle di CDB sul Fondatore. “Lui è l’altro demagogo della politica italiana”. Così Flavio Tosi si esprime su Matteo Salvini nella Repubblica del 23 gennaio. Grande idea repubblicona quella di chiedere all’ex sindaco di Verona un parere sull’attuale leader della Lega, si è sicuri così di poter contare su un’opinione scevra da rancori e risentimenti personali. Un po’ come chiedere a Carlo De Benedetti che cosa ne pensa di Eugenio Scalfari (e viceversa)
Martina, i ricchi, i lavoratori, i ricchi italiani e quelli francesi. “Avvantaggerebbe solo quel 5% di contribuenti ricchi”. Così Maurizio Martina sul Corriere della Sera del 22 gennaio intervistato da Daria Gorodisky attacca la proposta del centrodestra sulla flat tax. Si riallaccia in questo senso alle critiche che i democratici americani fanno alla riforma fiscale trumpista. Forse dovrebbe riflettere sul quel che scrive Federico Rampini su Affari e Finanza, inserto della Repubblica del 22 gennaio: “E’ importante quello che sta accadendo sul fronte dei salari” su come cioè certi incentivi, se ben calibrati, da taglio delle tasse apparentemente solo per “i ricchi”, aiutino alla fine anche i lavoratori. Comunque è sempre meglio aiutare il 5 % dei ricchi italiani invece che il 5 % dei ricchi francesi come tendono a fare governi tipo quello attualmente in carica.
Davos e Trump, dall’oltraggio all’omaggio. “A year later, the mood of the businesspeople, financiers, politicians and public intellectuals at Davos is likely to be rather different”. Il pur assai critico con Donald Trump, Gideon Rachman nota sul Financial Times del 21 gennaio come “un anno dopo” sia cambiato profondamente il clima degli uomini d’affari, dei finanzieri e degli intellettuali che si incontrano in questi giorni a Davos, verso il nuovo presidente degli Stati Uniti. “James Damon, leader di JpMorgan e uomo di riferimento a Davos, è passato in pochi mesi dal disprezzo all’elogio pubblico per Trump” scrive Federico Fubini sul Corriere della Sera. E’ interessante notare come un certo becero antitrumpismo domina ancora alcuni giornalisti storicamente “moderati”, mentre alcuni tra quelli più liberal riescano a cogliere la situazione reale con maggiore concretezza, a partire dai due Federichi, quello del Corriere e quello della Repubblica.