La teoria del gender esiste, lo dice Scalfarotto

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La teoria del gender esiste, lo dice Scalfarotto

22 Giugno 2015

Da quando una Piazza San Giovanni stracolma di famiglie ha fatto emergere tutta la preoccupazione che serpeggia tra i genitori italiani sulla ideologia del gender, si è avviata una gara per minimizzare la portata di queste teorie, ironizzando (“ma che sarà mai questo gender?”), riducendole alla questione dei ruoli sociali, o addirittura negando che esistano.

 

Non è il caso di entrare troppo nel merito; chiunque può informarsi direttamente leggendo le teoriche femministe postmoderniste, come Judith Butler, e documentandosi sul grande dibattito che è nato intorno alla sopravvivenza della differenza sessuale, all’idea del corpo sessuato, e perfino del concetto “donna”, termine che alcune filosofe hanno proposto di abbandonare.

 

Quello che è in gioco non sono i ruoli precostituiti (del genere le femmine amano cucinare e i maschi giocare a pallone) ma la soggettività e l’identità. Le teorie del gender sono diventate autorevoli a livello internazionale, rintracciabili in molti documenti dell’Onu e dell’unione europea; se ne vedono gli effetti perfino su Facebook, dove le identità possibili si sono improvvisamente moltiplicate, abbandonando il vecchio sistema binario maschile/femminile.

 

Il pensiero gender è entrato nelle scuole tramite incontri, video, libretti illustrati, linee guida sui giochi per i bimbi delle materne; insomma basta dare uno sguardo alla realtà che ci circonda per verificare che non si tratta di incubi e spauracchi creati da cattolici integralisti, ma di teorizzazioni un tempo confinate nel mondo accademico, e oggi diffuse nel sociale attraverso mille strumenti.

 

A chi resta scettico, consigliamo una semplice e istruttiva lettura: quella della proposta di legge a prima firma Scalfarotto contro l’omofobia. Il testo (poi modificato in commissione), all’art. 1, recita così:

 

“Ai fini della legge penale, si intende per:

 

a) «identità sessuale»: l’insieme, l’interazione o ciascuna delle seguenti componenti: sesso biologico, identità di genere, ruolo di genere e orientamento sessuale

 

b) «identità di genere»: la percezione che una persona ha di sé come uomo o donna, anche se non corrispondente al proprio sesso biologico;

 

c) «ruolo di genere»: qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse all’essere uomo o donna;”

 

L’identità di genere è dunque qualcosa di fluttuante, modificabile, e soprattutto affidata all’autopercezione: sono donna finché mi sento donna, ed è ininfluente la realtà del corpo. Il soggetto è destrutturato, nomade, radicalmente denaturalizzato. Per dirla con una nota teorica femminista, “il corpo non è un dato biologico, ma un campo di iscrizione di codici socio-culturali”.