La terza via di Pannunzio tra progresso e libertà

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La terza via di Pannunzio tra progresso e libertà

08 Dicembre 2011

Come tutti i grandi che hanno segnato una stagione culturale, anche Mario Pannunzio (1910-1968), il direttore e fondatore di Risorgimento Liberale’ (1944-1947) e del ‘Mondo’ (1949-1966), ha lasciato una ‘destra’ e una ‘sinistra’.Della prima fanno parte oggi i soci del Centro Pannunzio di Torino e  ieri diversi reduci de ‘Il Mondo’ ospitati nelle pagine culturali de ‘Il Giornale’ montanelliano; della seconda fanno parte, assieme alla sedicente‘area laica’,altri reduci del settimanale pannunziano ospitati da ‘Repubblica’.Gli uni e gli altri hanno frecce al proprio arco per rivendicare l’eredità di un autentico maître-à-penser della Prima Repubblica ma gli uni e gli altri ne danno una lettura inevitabilmente  parziale.

La sinistra tende a minimizzare il tenace anticomunismo di Pannunzio—v. soprattutto ‘Risorgimento Liberale’–, la scelta coerente per l’America e l’Occidente, la solidarietà incondizionata sempre manifestata ad Israele, l’allergia ad ogni tentazione mediterranea ma, soprattutto, l’estraneità a quello che Benedetto Croce, uno dei numi tutelari de ‘Il Mondo’ assieme a Luigi Einaudi e a Gaetano Salvemini, chiamava l’attivismo ovvero l’eterno romanticismo politico italico. Era l’abito mentale che portava molti esponenti della sinistra non marxista a simpatizzare con i ‘contestatori  del sistema’, con i giovani iconoclasti, con gli studenti che volevano raddrizzare le zampe ai cani, in nome del nuovo, dell’andare avanti, dell’abbattimento dei privilegi sociali.

La destra, però, tende a sottovalutare l’ispirazione illuministica di Pannunzio che non concepiva la democrazia liberale come registrazione dei bisogni effettivi della gente ma come l’infallibile strumento istituzionale in grado, a differenza dei regimi totalitari, di mettere in moto la locomotiva del Progresso. Di qui l’insofferenza per la provincia cattolica, per il qualunquismo diffuso tra gli Italiani nonché l’identificazione del fascismo con la nostra arretratezza etica e culturale, in  linea  con <l’autobiografia della nazione> di cui parlava Piero Gobetti: ma di qui, soprattutto, un progetto di ‘terza via’, tra capitalismo e collettivismo,che alla destra della programmazione lamalfiana vedeva solo la reazione in agguato–Malagodi e la Confindustria!.

Questi diversi aspetti della ‘lezione’ di Pannunzio trovano conferma nelle pagine di un volume appena uscito, Mario Pannunzio. Giornalismo e liberalismo. Cultura e politica nell’Italia del Novecento (Edizioni Scientifiche Italiane). L’Autore, Antonio Cardini, uno storico di elevata cifra professionale, ha scandagliato il Fondo Pannunzio dell’Archivio Storico della Camera dei Deputati e ha potuto mettere mano su una corrispondenza sterminata che mostra un Pannunzio tutt’altro che pigro. Si tratta di materiali che ci consegnano il ritratto di un <anti-italiano> che, vedendo nel qualunquismo quasi un’escrescenza sul cadavere del fascismo,–<l’ideale irraggiungibile dei mediocri, di chi aveva per orizzonte le stanze di casa propria |..| dei piccoli borghesi trepidanti per il loro stipendio, i quali sognavano il quieto vivere senza passioni, senza lotta, senza responsabilità—non aveva alcuna indulgenza per quanti, dopo i lutti bellici, prima ancora delle riforme, volevano il ristabilimento dell’ordine e della sicurezza nelle strade e, refrattari a farsi ‘rifare l’anima’,votavano a destra. L’illuminismo di Pannunzio era quello dei philosophes francesi non quello scettico e prudente di David Hume e della Scuola scozzese.

 (Tratto da Il Giornale)