La tragedia dell’11 Settembre espose l’amoralità del postmodernismo

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

La tragedia dell’11 Settembre espose l’amoralità del postmodernismo

11 Settembre 2011

Le macerie delle Torri Gemelle ancora fumavano quando fece il giro del mondo spaventato una frase del musicista d’avanguardia Karlheinz Stockhausen: l’attentato era stato “la più grande opera d’arte possibile nell’intero cosmo” Ovviamente scattò immediata l’indignazione collettiva. Però quell’uscita sembrava esprimere perfettamente il senso reale di tutta l’arte postmoderna, raccogliere l’intera eredità dadaista e strutturalista, il loro tentativo di cancellare la componente umana e la preoccupazione morale dal centro dell’espressione artistica.

Dunque gli attentatori avevano dato morte, ma anche vita ad una performance di indubbio effetto sul pubblico. Pubblico sterminato come mai, addirittura planetario e messo di fronte all’opera senza possibilità di sottrarsi alla rappresentazione.

Era anche lecito cogliere un rimando ad un noto pensiero del filosofo Theodor Adorno, quella del 1949 sull’impossibilità di fare ancora poesia dopo Auschwitz. Il cerchio si era forse chiuso: un orrore, che per le sue modalità sembrava addirittura più disumano dei campi di sterminio nazisti, aveva sdoganato la rappresentazione artistica del male, l’aveva addirittura incarnata.

Neanche questa seconda ipotesi si avvicinava però alle reali parole del compositore tedesco; Stockhausen fu infatti costretto a chiarire la questione pochi giorni dopo con un comunicato. La stampa aveva decontestualizzato completamente la frase; lui intendeva dire che opera d’arte si trattava, e della più grande, ma fra quelle compiute da Lucifero, “spirito cosmico della ribellione e dell’anarchia” intento a distruggere “la creazione”. Insomma aveva dato una lettura metafisica ed apocalittica del disastro, E ci teneva a far sapere di stare senza ombra di dubbio dalla parte delle vittime e del potere angelico di San Michele, avversario di Lucifero.

In effetti per rendere veramente giustizia, nel senso della rappresentazione culturale, a quello che avvenne dieci anni fa a New York bisognerebbe fare ricorso alla letteratura fantasy, ad un genere che non fa si concede troppo confusione né ambiguità postmoderne sul confine fra il bene e il male. In fondo, che l’attacco alle Due Torri sia stato deciso ed portato a termine da personalità malvagie e spietate dovrebbe trovare d’accordo tutti, anche i complottisti che accusano la stessa amministrazione Usa di aver ordito la tragedia.

Eppure nessuna rappresentazione letteraria dell’11 settembre sembra aver colto questo aspetto, se non in modo marginale. Il secondo aereo di Martin Amis, Follie di Brooklyn di Paul Auster, L’uomo che cade di Don Delillo non hanno certo scavato così nel profondo. Anche John Updike, che con Terrorista ha tentato di entrare nella mente di un kamikaze, non è andato oltre le consuete riflessioni sulla banalità del male, sul suo scaturire dal rancore e dall’isolamento invece che da una fonte metafisica.

Le cose non cambiano al cinema. Polifonico e disomogeneo per forza di cose 11 settembre 2001 (11 episodi di 11 minuti girati da 11 registi di 11 paesi differenti), faziosamente documentaristico Fahrenheit 9/11 di Michael Moore (che almeno ha contribuito a smontare le teorie complottistiche mostrando un George W. Bush disorientato e attonito alla notizia dell’attentato mentre si trova in visita in un asilo), taglio realistico per United 93 di Paul Greengrass e World Trade Center di Oliver Stone.

Fra le forme d’espressione artistica è stata forse la pittura quella che ha colto con più sensibilità il dramma cosmico di quel giorno, l’ennesimo episodio dello scontro fra le forze del bene e quelle del male. O quantomeno l’apparizione di quest’ultimo nel cielo di una giornata di fine estate. Ci riferiamo all’opera September di Gerhard Richter, artista tedesco come Stockhausen e per giunta nato a Dresda (città che se ne intende di calamità causate da aeroplani…). Quella densa nuvola nera che inizia a soffocare le Torri Gemelle pare proprio una buona rappresentazione di Lucifero, l’angelo caduto dal cielo con il suo carico di disgrazie per tutta l’umanità.

Quella macchia nera dice di più di molte analisi politiche che abbiamo sentito in questi dieci anni. Dice chiaramente che non tutto è comprensibile con le categorie illuminate della politica, dell’economia, della sociologia. Anzi conferma una riflessione dell’antropologo francese René Girard, contenuta in Portando Clausewitz all’estremo, testo incentrato proprio sul contagio malefico di terrorismi e fondamentalismi: “a muovere la storia non è ciò che appare essenziale agli occhi del razionalismo occidentale”.