La Turchia cerca di incidere sulla crisi siriana ma Damasco non si lascia fare
10 Dicembre 2011
La Turchia di Erdogan sfida la Siria di Assad e attua così il congelamento dei fondi siriani, equivalenti ad oltre 80 milioni di euro, nelle banche turche, per effetto delle sanzioni imposte da Ankara a Damasco, nell’ambito delle pressioni internazionali per porre fine alla sanguinosa repressione dei moti di protesta in Siria.
La reazione siriana non si è fatta più di tanto attendere e si è manifestata con la ferma decisione di bloccare il transito delle merci alle frontiere della Turchia, accusando inoltre la stessa Turchia di preparare un piano di invasione con l’impiego di contingenti militari nella parte occidentale del paese, e di ospitare un numero abbastanza consistente di pericolosi ribelli siriani, autori di un attacco lanciato oltre il confine pochi giorni fa.
Il ministro dell’economia turca, Zafer Caglayan, ha dichiarato alla televisione Cnbc turca che per superare lo stop della Siria al traffico dei camion merce, è stato studiato un piano che prevede altre rotte commerciali per gli scambi turchi, ad esempio spedizioni effettuate attraverso l’Iraq e inviate via mare dal porto meridionale di Mersin, evitando in questo modo il passaggio per la Siria.
Oggi la drammatica situazione in Siria, denunciata più volte anche dalla Turchia di Erdogan, non sta cambiando affatto, l’incubo dell’instaurazione di una guerra civile, scenario infausto prospettato solo poche settimane fa, tra la popolazione siriana si sta veramente avverando e gli schieramenti sono già ben delineati.
Il potere pluriennale concentrato nelle mani della famiglia Assad, dove attualmente Bashar Al Assad ricopre la carica di Presidente di Stato, molto difficilmente si dimostrerà propenso ad un’eventuale valutazione che gli faccia lasciare la guida del paese, poiché vede nello spettro della guerra interna siriana, che si sta sviluppando, un’occasione per riaffermare e sottomettere tutto il paese al pugno duro e fermo della volontà del partito socialista arabo Baath.
La fondatezza di questa tesi politica deriva essenzialmente dal fatto che le pesanti sanzioni adottate dalla Lega Araba non hanno minimante toccato né condizionato le decisioni prese al vertice del governo siriano. Per capire chi siano gli Assad e come hanno finora gestito il controllo del Paese, bisogna fare un passo indietro.
Bashar Al Assad è il figlio naturale di Hafiz Al Assad, il precedente Presidente della Siria deceduto nel 2000 per infarto cardiaco al miocardio, e tutti e due fanno parte di una corrente religiosa mediorientale di matrice islamica, l’alawitismo che ricopre circa il 20% della popolazione attuale, pari quasi ad una cifra di 2 milioni di cittadini siriani.
La corrente musulmana alawita si differenzia dalla principale corrente della religione islamica nel Paese, ovvero quella sciita, per il minor rigore integralista a cui i fedeli sono soggetti e per una profonda tolleranza e un grande rispetto verso i valori di laicità e di liberalità che contraddistingue questo gruppo. Essi possono vantare il maggior numero di matrimoni interconfessionali e una maggiore apertura, non solo mentale, verso lo stile di vita occidentale.
Ad oggi comunque circa il 70% della popolazione siriana appartiene al corrente sciita, che si distingue dal movimento alawista anche per un’altra caratteristica religiosa: i fedeli musulmani alawisti nel corso degli anni hanno accentuato la loro devozione, giungendo ad una vera e propria “deificazione”, nei confronti della figura di Ali ibn Abi Talib, cugino e genero del profeta Maometto.
L’arrivo al potere di Assad padre avvenne nel 1970 a seguito della guerra dei sei giorni tra israeliani ed egiziani. Con l’ennesimo colpo di mano interno al partito arabo Baath, Assad padre iniziò a governare, lasciando alla guida il figlio Bashar.
Va sottolineato però che la legittimazione del potere di comando acquisito da Hafiz Al Assad fu più volte messa in discussione, e la maggioranza sunnita dei siriani, con l’appoggio del gruppo dei Fratelli Musulmani, arrivò addirittura a cercare di assassinare lo stesso Hafiz il 25 giugno 1980.
La risposta a questo accaduto non si fece più di tanto attendere, infatti nel 1982 Assad inviò l’esercito siriano contro la roccaforte sunnita di Hama ove si compì un vero e proprio genocidio con l’uccisione di più di 30.000 cittadini siriani simpatizzanti del gruppo dei Fratelli Musulmani.
Ovviamente dopo quel fatto, fino all’oramai famosa primavera araba di quest’anno, la Siria non ha più manifestato forme violente di opposizione al regime, privandosi in questo modo del diritto di critica e di manifestazione del proprio pensiero, anche in forme non violente o aggressive.
Nonostante gli alawita siano una minoranza religiosa in Siria, i seguaci di questo gruppo ricoprono posizioni che li vedono ai vertici del potere nel paese, ad esempio nell’istruzione impartita nelle accademie militari, nel comando dell’esercito ufficiale siriano, nella gestione dei servizi segreti, nei ministeri dell’economia siriana e degli affari esteri oltre, ovviamente, al governo nazionale degli Assad.
Questo è uno dei motivi grazie ai quali riescono a mantenere in stallo e a loro favore la situazione politica nel paese, in aggiunta al fatto che parte della corrente sunnita e sciita appoggia gli alawiti soprattutto per la generosa “donazione” di denaro che quest’ultimi erogano nei loro confronti, diventando in questo modo i diretti finanziatori di diverse attività (altrimenti non possibili per la mancanza di cospicui fondi pecuniari) operate da ristrette élite di religiosi islamici sunniti.
Inoltre il sostegno sunnita deriva anche da una serie di favori politici, concessi dai gruppi di potere alawiti, che permettono loro di coltivare, in totale libertà e senza alcuna forma di controllo, una subcultura nazionale di intensa propaganda politica e religiosa.