La Turchia e le conseguenze della svolta antisraeliana
16 Luglio 2010
In Medio Oriente c’è un paese non arabo che ha occupato con la forza un territorio straniero per oltre trent’anni – senza che nessun altro riconoscesse tale occupazione. Quello stesso paese ha negato alle proprie minoranze diritti fondamentali come l’autonomia culturale, impedendo a ciascuna di loro l’uso della propria lingua. Ha inoltre ingaggiato una dura guerra contro un gruppo autoproclamatosi movimento di liberazione nazionale, che ha definito come terroristi. Non di rado ha poi intrapreso veri e propri raid brutali oltre confine, inseguendo i presunti “terroristi”, senza preoccuparsi di chiedere nessuna autorizzazione ai propri vicini. Ed ha bloccato un suo vicino senza sbocco sul mare, come punizione per un conflitto di vecchia data legato al ricordo di un genocidio, che sostiene non sia mai realmente avvenuto.
Se pensaste che io stia descrivendo Israele, vi sbagliereste: sto parlando della Turchia.
La Turchia ha occupato Cipro del Nord nel 1974, sostenendo più tardi l’esistenza di una repubblica separata di lingua turca, riconosciuta solamente da Ankara.
La Turchia ha inoltre combattuto una dura guerra contro il PKK curdo, che ha causato decine di migliaia di vittime. Impegnata negli scontri con il PKK – in Iraq – Ankara si è mostrata restia a riconoscere l’autonomia curda all’interno del paese. Non solo non viene concessa alcuna forma di separatismo, ma viene respinto il concetto stesso di un’identità curda separata. I curdi non possono insegnare e imparare nella propria lingua, mentre la loro identità nazionale viene costantemente soffocata.
La Turchia è (a dir poco) restia a confrontarsi con il suo passato e continua a non riconoscere il genocidio ai danni degli armeni.
E ora giungono le severe critiche turche nei confronti di Israele, prima e dopo l’incidente della flottiglia a Gaza del mese scorso. Si potrebbe notare un pizzico di ipocrisia.
Naturalmente, tutti turchi, di qualsiasi ala politica, avranno delle obiezioni da fare al riguardo. I membri del PKK sono terroristi, senza virgolette – ed è difficile combattere il terrorismo rimanendo all’interno di quanto stabilito dal diritto internazionale e dai diritti umani. Israele sarebbe d’accordo.
La Turchia è intervenuta a Cipro nel 1974 al fine di salvare le etnie turche in seguito ad un colpo di stato militare attuato dalla giunta militare greca. Sebbene la Repubblica Turca di Cipro del Nord possa essere poco più che una finzione politica, non si può ignorare la sua esistenza, né i bisogni e i desideri dei suoi 250.000 cittadini. Ancora, per quanto riguarda l’Unione Europa, Cipro del Nord è un territorio UE sotto l’occupazione militare turca.
Sulla questione armena, i Turchi rimangono comprensibilmente contrari a determinare la storia attraverso risoluzioni parlamentari estere. Ma si mostrano un pò più aperti all’idea di una indagine storica imparziale sui fatti del 1915: ci sono margini di miglioramento.
Esistono, in breve, molte analogie tra la condotta turca e quello per cui Israele viene accusato da Ankara. La Turchia non ha valide giustificazioni per il suo comportamento. Forse può avanzare scuse legittime, che però non le permettono di porsi su un elevato piano morale da cui dare lezioni agli altri su diritti umani, giustizia, pace e diritto internazionale.
Nel corso degli anni, la lotta intrapresa dalla Turchia contro il PKK ha fatto sì che il paese evitasse di dare lezioni a Israele sul suo approccio al terrore. L’alleanza strategica turco-israeliana si basava su situazioni simili e su nemici comuni.
L’ascesa di un governo islamista ad Ankara ha cambiato tutto. L’unica ragione per la quale la Turchia si è sentita di poter voltare le spalle ai suoi alleati di un tempo, generando una crisi nell’area del Mediterraneo, è il suo orientamento politico.
Gli Europei, nel breve periodo, potrebbero trovare alquanto complicato vedere l’incidente della flottiglia al di fuori dell’ottica romantica di un innocuo gruppo di pacifisti attaccato dagli spietati commandos israeliani. L’Unione Europa potrebbe servirsi dell’accaduto per raddoppiare i suoi sforzi, in gran parte vani, per promuovere la pace in Medio Oriente al giorno d’oggi.
Al di là dei commenti lacrimevoli degli opinionisti europei, esiste una questione più a lungo termine che prima o poi l’Europa dovrà affrontare. Ankara sta lentamente iniziando ad apparire e ad agire più come un governo islamista. Mentre l’atlantismo mostrato nella Guerra Fredda si sta trasformando in una politica estera ostile agli interessi occidentali, le relazioni turche con la Russia e l’Iran indicano sempre più differenze inconciliabili con la NATO.
La Turchia rappresentava solitamente la miglior risposta dell’Occidente all’ascesa dell’Islam radicale e alla mancanza di democrazia nel mondo musulmano. Il suo ruolo nell’incidente della flottiglia dovrebbe rappresentare un campanello d’allarme per quelli che la pensano ancora in quel modo. La Turchia si è unita agli estremisti e, così facendo, ha intaccato la democrazia interna, oltre a ledere gli interessi occidentali nella regione.
Sarebbe il caso che Ankara ne pagasse il prezzo. La perdita della Turchia non dovrebbe essere l’obiettivo della NATO. Ma la Turchia deve fare una scelta – e l’Occidente non dovrebbe fare sconti.
*Emanuele Ottolenghi è Senior Fellow presso la Foundation for Defense of Democracies.
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Traduzione Benedetta Mangano