La Ue: “Presto nuovi sbarchi da Libia, daremo finanziamenti a Italia”. Ma lo schema ‘migranti in cambio di debito’ ormai è fallito
09 Agosto 2017
di Carlo Mascio
“Tutti sanno che sono in tanti nel Nord della Libia ad attendere un passaggio ed è molto probabile che presto ci sarà una nuova ondata di partenze”. Dopo le schermaglie interne al governo tra Minniti e Delrio, sulla questione migranti è intervenuto il commissario europeo per le migrazioni, il greco Dimitris Avramopoulos che giudica un “rapporto strutturato con i libici” la “chiave” di volta della questione migratoria. “La situazione ci impone di ampliare gli sforzi nella regione, cosa che l’Europa sta facendo da tempo, rafforzando il dialogo e la cooperazione con la Libia e gli altri Stati africani di transito”. Tutto questo perché “finché il territorio libico non sarà ristabilizzato le condizioni resteranno difficili”.
Sarà anche così, ma cosa ha fatto l’Europa per la “stabilizzazione libica”? Qualcosa non torna soprattutto quando si parla di fondi. E lo si capisce se si da un rapido sguardo ai fondi stanziati dall’Ue tramite l’Africa Trust Found, il fondo europeo per sostenere lo sviluppo degli stati africani. Ebbene la finestra dedicata all’Africa Settentrionale (di cui fa parte anche la Libia) è particolarmente carente di finanziamenti, malgrado si tratti di una delle più importanti al fine di ridurre i flussi lungo la rotta del Mediterraneo Centrale. Al 3 luglio 2017, il fondo ha impegni per 2.870 milioni di euro, dei quali solo 303 dedicati all’Africa Settentrionale. E di questi solo 53,6 sono stati effettivamente erogati. La “colpa” è da attribuirsi agli Stati membri che fino ad ora hanno erogato poco o nulla al fondo. I due maggiori contributori nazionali sono Germania e Italia, che hanno promesso rispettivamente 51 mln e 82 milioni ma, al momento, pare che i fondi ricevuti sono rispettivamente 3 mln e 32 mln. Cosa ben diversa se si fa riferimento alla rotta balcanica chiusa dopo l’accordo tra Ue e Turchia. In questo caso la Germania ha già sborsato ben 427,5 milioni di euro. Ma anche l’Italia non è stata da meno: 224,9 milioni già erogati.
Ora, dati alla mano, verrebbe da chiedersi come mai ci sia questa “disparità di trattamento” nella gestione delle due rotte migratorie e come mai, dunque, una è stata chiusa e l’altra non ancora (peraltro anche con fondi italiani). La risposta, probabilmente, sta nel fatto che è sin troppo evidente che sul fronte immigrazione gli Stati Ue agiscono in ordine sparso, mancando effettivamente una politica comunitaria condivisa in materia. Ma non è tutto. Dato che Avramopoulos ha anche promesso l’arrivo immediato di nuovi fondi per l’Italia già stanziati a luglio (altri 35 milioni di euro per gestire l’emergenza migranti), non vorremmo che la “disparità di trattamento” nella gestione delle due rotte sia stata in parte avallata proprio dall’Italia e dal governo Renzi in particolare. Come? Dando seguito al solito schema renziano che raccontiamo da tempo: flessibilità (più soldi da spendere) in cambio dell’accoglienza. Modello che però è fallito sotto la pressione degli sbarchi, finché, tardivamente, il governo ha cercato di metterci una pezza, come ad esempio il blocco agli sbarchi di migranti tratti in salvo dalle Ong che però non hanno firmato il codice di condotta voluto con forza dal ministro Minniti
E forse anche in virtù di ciò potrebbe essere letta l’uscita del renzianissimo Delrio nei confronti del ministro dell’Interno, come ipotizza La Stampa, secondo ci sarebbe proprio Renzi dietro l’attacco del ministro dei Trasporti sulla questione relativa alle navi che in base al nuovo codice di condotta possono portare migranti nei porti italiani. E anche se il segretario Dem ha liquidato la questione ritendendola infondata, poi però, riferendosi a Minniti, ha dichiarato: “Quando si raggiungono vette alte, come sta succedendo a Marco, non bisogna farsi prendere dalle vertigini”. Un modo come un altro per frenare l’attivismo del ministro dell’Interno. Alla luce di quanto detto e, dunque, anche delle evidenti divisioni interne all’esecutivo, le dichiarazioni di Avramopoulos secondo cui “tutti a livello globale ed europeo dobbiamo impegnarci” per risolvere la situazione libica sembrano lasciare il tempo che trovano se alle parole poi non seguiranno i fatti.