La vera storia della conquista di un’isola chiamata Sicilia
28 Giugno 2009
Più di vent’anni sono trascorsi dall’uscita de “Gli anni della rabbia. Sicilia 1943-1947” scritto da Sandro Attanasio. Un testo vulcanico, ricco di suggestioni e anche di partigianerie, eppure un’opera che, a distanza di un quarto di secolo – è stata appena riproposta da Mursia – continua a farsi leggere con profitto. L’autore non è un accademico. La sua natura di libero studioso lo rende ardito e a tratti un po’ troppo generoso. Attanasio ha idee forti che difende con vigore. Circostanze queste che rendono il racconto incalzante anche quando documenti e pezze d’appoggio non sono per forza completamente coerenti. Le opinioni dell’autore sono magari trancianti, eppure il racconto resta stimolante anche quando si presta a critiche. Insomma un libro bello che fa riflettere per il suo carattere non conformista. Un testo che merita più di una considerazione e forse più di un pezzo.
Partiamo dall’incipit: l’invasione della Sicilia, la sua preparazione, i suoi effetti immediati e a medio raggio. “Tre giorni dopo lo sbarco sulle spiagge dell’isola”, osserva Attanasio, “gli eventi militari locali erano già risolti e due settimane dopo, con la caduta del fascismo, anche il nodo politico era sciolto”. Non così per la regione. L’autore racconta con una sfilza di riferimenti concreti le tante trame, le sorprendenti colleganze fra Alleati e locali, precedenti alla messa in opera dell’operazione angloamericana. A cominciare dalla questione controversa ma nota del ruolo degli uomini d’onore. Collusione varie, non tutte a senso unico. “In genere si addossa ai servizi segreti americani la colpa di avere utilizzato gangster e mafiosi per le loro necessità belliche”, eppure scrive Attanasio, “è altrettanto vero che un’azione parallela di recupero della mafia fu effettuata dai servizi segreti italiani”. Grazie all’ipoteca dei picciotti e i traffici tutt’altro che lineari dei nuovi emergenti locali, in piena stagione di mezzo fra occupazione e liberazione alleata, il clima siciliano precipita facilmente verso il torbido.
“Gli anni della rabbia” descrivono una conquista dell’isola nient’affatto politicamente corretta. Abusi e violenze gratuite si sprecano e la funzione dell’Amgot, la struttura politico amministrativa dagli occupanti predisposta alla gestione della complessa situazione, che raramente si dimostra all’altezza degli eventi. Vizi classici di ogni esercito invasore si sommano a un buon tasso di approssimazione e di improvvisazione. “Certamente gli uomini dell’Amgot non erano tutti” intrallazisti” e neppure malvagi e tuttavia “è anche vero che un buon numero di questi ufficiali contava di ottenere alloggi confortevoli, ragazze compiacenti e profitti discreti sul mercato nero”.
Sempre in concomitanza con la conquista alleata c’è il capitolo delle “ammazzatine”, un vero boom dopo l’arrivo delle truppe anglo-americane. A parte la circostanza, peraltro arcinota, che il capo dell’Amgot, colonnello Charles Poletti, aveva come braccio destro un mammasantissima del calibro di don Vito Genovese oltre a contare sull’amicizia stretta del boss dei boss don Calogero Vizzini, l’isola è ben presto tormentata da bande di briganti che tengono sotto schiaffo interi pezzi di provincie, mentre la politica delle nomine a tappeto (a cominciare da quella manu militari dei docenti universitari, chiamati con disprezzo AM-professori), non facilita certo il miglioramento del tono generale della classe dirigente.
Troppe leggerezze e disinvolture che concorrono ad alimentare quella quasi “guerra civile” che nei mesi successivi divamperà nell’isola, con la scesa in campo dei separatisti e le rivolte popolari che esploderanno un po’ ovunque. Sono questi temi forti che meritano almeno un supplemento di articolo, il prossimo.