L’ambientalismo di sinistra ha fallito. Per salvare la terra servono soluzioni liberali

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L’ambientalismo di sinistra ha fallito. Per salvare la terra servono soluzioni liberali

23 Aprile 2008

Trentotto anni fa esatti, circa venti milioni di americani parteciparono al primo Earth Day. La Quinta Strada di New York fu chiusa al traffico per permettere a centomila persone di riunirsi e celebrare l’evento.  Più di duemila università interruppero le loro proteste contro la guerra nel Vietnam per manifestare il loro dissenso alla distruzione delle foreste, la crescita della popolazione, l’inquinamento atmosferico. Il fumo delle ciminiere, gli scarichi degli aerei, le polveri e il vapore – si diceva – avrebbero coperto la Terra di una coltre tanto spessa da impedire ai raggi del sole di riscaldare a sufficienza il pianeta. A detta di autorevoli scienziati, in trent’anni la temperatura media sarebbe crollata di cinque o anche di dieci gradi, catapultando l’umanità in una nuova era glaciale.

Questo raffreddamento globale, com’è noto, non si è verificato: anzi, la temperatura pare sia aumentata di un quarto di grado negli ultimi trenta anni e – a leggere le stime dell’IPCC (la commissione internazionale costituita nel 1988 dall’Onu per studiare i cambiamenti climatici in atto) – dovrebbe continuare a salire nei prossimi decenni.  Dovrebbe, ma non si può affermarlo con certezza; come rimane qualche dubbio che l’eventuale aumento della temperatura globale abbia come effetto determinante il livello di emissioni antropiche.

Se la prima edizione dell’Earth Day fu dunque dedicata al global cooling, da qualche anno protagonista dell’evento è il global warming, il suo esatto opposto. Un particolare curioso ma poco rassicurante, che testimonia come la questione ambientale sia dominata da un approccio più emotivo che scientifico, un coacervo ideologico fatto di diffidenza per la scienza e la tecnologia, nostalgia per l’autarchia e vagheggiamenti sulla necessità di politiche denataliste. Anche quest’anno l’Earth Day rischia di promuovere politiche per l’ambiente ispirate a teorie “anti-sviluppiste”, anziché a soluzioni “laiche” che puntino all’innovazione tecnologica, alla crescita economica e che non siano avverse al mercato.

Mai come in questi ultimi tempi si è palesato il cortocircuito di questo ambientalismo: il massiccio investimento nei  biocarburanti “puliti” ha sottratto terra alla produzione per la filiera agro-alimentare, contribuendo all’aumento dei prezzi; l’ostilità preconcetta allo sviluppo degli OGM frena la possibilità di sperimentare nuove vie per un rapido adeguamento dell’offerta alimentare mondiale alla crescita della domanda; in tema di riscaldamento globale, il catastrofismo degli scenari si scontra con la inadeguatezza di molte soluzioni proposte (se è vero quanto ci prospettano, converrebbe puntare su strategie di adattamento del territorio agli effetti del riscaldamento globale piuttosto che perseguire costosissime politiche di mitigazione del clima); in campo energetico, rimane una dichiarata ostilità alla più pulita delle tecnologie, il nucleare. Ridurre nel medio periodo le emissioni inquinanti, su scale locale e globale, è un obiettivo fondamentale, ma le soluzioni adottate devono tenere conto anche delle analisi costi/benefici e della necessità di prefigurare risultati effettivamente conseguibili. Fissare obiettivi irrealistici per acquietare le coscienze non rappresenta mai una buona politica.

La qualità dell’ambiente in tutti i suoi aspetti è una esigenza avvertita in modo sempre più urgente e deve divenire una priorità politica per ogni governo.

Nel nostro paese, le preoccupazioni dei cittadini sul futuro del pianeta sono state fino ad oggi monopolizzate da minoranze rumorose e aggressive che, in base ad analisi semplicistiche, hanno propugnato soluzioni irrealistiche e hanno trasformato la questione ambientale in una critica pregiudiziale all’industria, alla tecnologia, al mercato.  Vale per il riscaldamento globale, ma vale anche per la qualità dell’aria dei centri urbani, il ciclo dei rifiuti, la produzione di energia, la tutela del patrimonio naturale, la sicurezza alimentare.

Le elezioni hanno portato alla bruciante sconfitta di questo ambientalismo del “No”.

La conquista di una piena cittadinanza dell’ambientalismo nelle fila dello schieramento liberale, dunque, impone alla nuova maggioranza la responsabilità di realizzare, in chiave locale e in proiezione globale, una politica sull’ambiente alternativa e “laica”. Il governo Berlusconi è chiamato a rilanciare come centrali le politiche per l’ambiente, in chiave liberale, sulla scorta delle piattaforme ecologiche che caratterizzano in Europa i programmi dei partiti moderati.

Si tratta di una sfida culturalmente decisiva ai “teoremi ideologici” della sinistra, a partire da quello che vorrebbe dimostrare, contro ogni evidenza e contro lo stesso buon senso, che “difendere la Terra” significa combattere l’innovazione scientifica, il progresso tecnologico e la modernizzazione produttiva: è vero l’esatto contrario.