L’America al rovescio
19 Agosto 2024
On the road. Guidiamo miglia e miglia nell’America profonda tra pianure infinite, montagne maestose e tramonti mozzafiato. Presi a schiaffi da piogge sferzanti e venti bollenti viviamo in prima persona l’Elegia Americana: miniere chiuse, fabbriche abbandonate, roulotte arrugginite, caselle postali soppresse come fossero cimiteri di comunità ormai defunte. Nel mezzo di questa violenta natura sconfinata vive L’America che un tempo “fu grande”, oggi dimenticata, ferita ed incredula.
Stiamo attraversando Junction, contea di Piute, che vanta il reddito medio più basso nello stato dello Utah. Le case hanno facciate scrostate che sembrano sostenere per miracolo i tetti pericolanti. I pochi negozi hanno le luci spente e i vetri luridi. Nei vicoli e nei giardini si vedono, ammassati come fossero cimeli, vecchi rottami arrugginiti. Gruppi di Latinos ritornano dai campi dove, suppongo, hanno raccolto frutta e verdura tutto il giorno, qualche autista di taxi attende invano davanti al nostro motel, un meccanico lavora lento nel caldo puzzolente della sua officina, alcuni cani randagi si aggirano per le strade in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti.
È desolante. Qui vivono i reietti, gli illetterati, i rifiuti della globalizzazione, che non comprendono più il mondo e rivogliono indietro l’America che fu: quella delle fabbriche, delle grandi opere pubbliche, delle miniere, dell’agricoltura, degli allevamenti, dei meccanici e dei truck drivers. Ed è in nome di questa idea di paese che issano la bandiera a stelle e strisce sopra le porte delle case, nei giardini, sui tetti. Nella luce rossa di fine giornata, tutte quelle bandiere sventolanti, gridano orgoglio ed esigono rispetto.
In molti casi la bandiera recita: “Make America great again”, a testimonianza che il messaggio di Trump ha fatto breccia da queste parti e così mi conferma un enorme e gentilissimo benzinaio che una volta informatosi da dove venissimo, mi dice: “sai, l’America è in un momento molto difficile, abbiamo bisogno di un grosso cambiamento qui”.
Con questo spaccato di America negli occhi ci dirigiamo verso la California attraversando il Nevada e in un paio di giorni di navigazione raggiungiamo San Francisco. Arriviamo in una mattina splendida, guidando da Oakland, la città sbuca dalla nebbia dominando la baia in tutta la sua bellezza. La radio locale racconta di un recente sondaggio secondo il quale la neocandidata Dem, Kamala Harris, sarebbe in vantaggio nelle intenzioni di voto per le elezioni presidenziali.
Ascolto distratto mentre mi dirigo verso Il nostro hotel che è proprio dietro la salesforce tower, grattacielo avveniristico, costruito per contenere gli uffici di una delle società di software più innovative al mondo. Mia figlia più grande, dopo nemmeno un minuto è già connessa al free WiFi cittadino e fa il check in online perché il nostro albergo ha solo la reception virtuale. Una volta liberati dai bagagli entriamo in un caffè, che scopriamo essere vegano, dove un cameriere orientale con un vistoso tatuaggio sul collo ci suggerisce un matcha tea per cominciare la nostra giornata.
Accetto di buon grado perché adoro le novità, anche se da buon italiano conservo le mie riserve. Il locale è luminoso, con tanti tavoli di legno chiaro popolati da ragazzi giovani vestiti sportivi che, cuffie sulle orecchie, lavorano concentrati ai loro laptop: sono i nuovi lavoratori digitali, senza orari, senza sede, connessi 24 ore su 24. La ragazza accanto a noi è molto gentile e ci da qualche consiglio per visitare la città. Ci propone di andare in Castro street, la via LGBT per eccellenza, per vivere la vera cultura libera della città.
Eccitati ed incuriositi usciamo nel sole agostano e attraversiamo Union street cercando un taxi. Improvvisamente, alla mia sinistra arriva con un fruscio leggero una vettura bianca piena di telecamere e altri orpelli tecnologici roteanti, ed è mio figlio stavolta che mi dice: “guarda papà quest’auto non ha il guidatore!…”. Ferma alle strisce pedonali, attende il nostro passaggio. Non appena siamo fuori dalla sua traccia riparte, mette la freccia, gira il volante e procede silenziosa per main street. Ci metto qualche secondo a realizzare ciò che ho appena visto, ma a schiarirmi la mente ci pensa un’altra vettura identica che si ferma al semaforo di fonte, e poi un altra, ed un altra ancora: si chiama waymo, e’ una start up californiana che fornisce un servizio di taxi guida autonoma nel centro di San Francisco.
Mi sembra di vivere nel futuro, la devo provare! Dopo tre minuti ho scaricato l’app e inserito i miei dati e poco dopo siamo tutti e quattro dentro l’abitacolo. L’esperienza è impeccabile, in meno di dieci minuti siamo in Castro street. E’ pomeriggio inoltrato e la via arcobaleno è variopinta e festosa. Incontriamo alcuni amici e decidiamo di andare a berci una birra in uno dei bar chiassosi che si affacciano sulla via.
Il locale è frequentato per lo più da giovani gay, nell’aria l’odore pungente di marjiuana si mischia al ritmo della musica R&B. Neanche il tempo di accomodarci e ci raggiunge un cameriere tintinnante che ci informa, suo malgrado, che il bar serve alcolici e pertanto è vietato ai minori di 21 anni. I miei figli, entrambi minori, mi guardano esterrefatti…Io stesso sono un po’ confuso, ma faccio finta di nulla e mi alzo e me ne vado.
Forse sono frastornato dalle molte miglia percorse, oppure è il matcha tea che ho ingollato al posto del mio amato espresso, forse è stato il viaggio con Waymo che ha sconvolto i miei registri di maschio alfa nato a due passi dalla motor valley; in questo turbinio postmoderno fatto di libertà, gender fluidity, tecnologia e intelligenza artificiale non mi posso bere una birra al bar accompagnato dai miei figli minorenni?
Mi torna in mente il benzinaio di Junction, il suo sorriso enorme, lo immagino spalmato con la moglie sul divano di casa la sera dopo il lavoro che si guarda il suo programma preferito mentre i suoi figli sono a letto e la sua Chevrolet è parcheggiata nel vialetto. Me lo immagino che cambia canale e si imbatte nello stesso sondaggio che da la Harris come vincente; me lo immagino che si alza e va alla finestra e davanti al cielo stellato, così immenso e immobile, vede la sua bandiera che sventola nel fresco della sera. Me lo immagino che scuote la testa, spegne la televisione, e se ne va a dormire, certo che domani sarà un giorno migliore per la sua America.