L’America Latina non sa se fidarsi di Obama oppure no

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L’America Latina non sa se fidarsi di Obama oppure no

10 Dicembre 2008

“Basta con i Trattati di Libero Commercio con i Paesi dell’America Latina”. “Il Trattato di Libero Commercio con l’America Latina è un modello”. Queste due frasi, pronunciate da Barack Obama nel corso dello stesso dibattito televisivo, sono state citate come esempio delle incognite della prossima politica estera Usa nel corso di un incontro con la stampa di alcuni diplomatici latino-americani a Roma.

Il rappresentante del Perù presso l’Italia Carlos Roca Cáceres, già membro del Congresso di Lima per lo stesso Partito Aprista del presidente Alan García; il suo collega presso la Santa Sede Alfonso Rivero Monsalve, ex-ambasciatore negli Stati Uniti; l’ambasciatore di Colombia in Italia Sabas Pretelt de la Vega, ex-ministro dell’Interno e Giustizia del presidente Álvaro Uribe Vélez; e quello del Messico Jorge Eduardo Chen Charpentier: il forum era evidentemente rappresentativo non di quei Paesi come Cuba, Venezuela o Bolivia che in questo momento si trovano ai ferri corti per vari motivi con l’Amministrazione di George W. Bush, e i cui leader stanno manifestando aspettative più o meno vaghe che con Obama si possa arrivare a una qualche forma di accomodamento.

Si tratta invece di tre importanti alleati, in modo diverso coinvolti nelle priorità della casa Bianca in termini di lotta al terrorismo e al narcotraffico. E si tratta anche di tre Paesi che con l’economia degli Stati Uniti hanno un rapporto di complementarietà economica importante: il Messico assieme a Stati Uniti e Canada nell’Area di Libero Scambio del Nord America Nafta; il Perù che ha siglato con gli Stati Uniti il Trattato di Libero Commercio appunto citato dal neo-eletto presidente come “esemplare”; e la Colombia che ha siglato un altro Trattato di Libero Commercio, però bloccato al Congresso.

George W. Bush ha perfino cercato di barattare con Obama uno scambio tra il bailout all’industria automobilistica in crisi nel Michigan e un via libera dei democratici all’accordo, senza peraltro riuscirci. Roca Cacéres, che forse resta più politico che diplomatico, ha pure sottolineato la preoccupazione per il “ruolo destabilizzante” di Chávez, che porta in America Latina potenze estranee come Russia e Iran. Il che, peraltro, non impedisce le buonissime relazioni tra il Perù e il governo filo-chavista di Rafael Correa in Ecuador.

Tutti sottolineano che l’interesse dei loro Paesi non è evidentemente quello di appoggiarsi ai repubblicani piuttosto che ai democratici, ma quello di mantenersi amici di tutti. Comune è la constatazione che se il 65% degli ispanici ha votato per Obama, vuol dire che l’elezione di un presidente meticcio non può non rappresentare una grande speranza nel Continente meticcio per eccellenza. Unanime è l’idea che la politica di George W. Bush aveva scavato più di un fossato tra Stati Uniti e latino-americani, e che l’arrivo alla Casa Bianca di un nuovo inquilino dall’immagine più carismatica non potrà che fare bene. L’ambasciatore messicano si dice anche fiducioso di un miglioramento della situazione degli immigrati latini negli Usa, attraverso una presumibile nuova politica in tre passi: regolarizzazione degli illegali presenti da più tempo; programmazione degli immigrati stagionali; programmazione degli immigrati permanenti.

Però, come ricorda Rivero Monsalve, gli stati Uniti sono un Paese in cui “c’è una pluralità estrema di centri decisionali, e tutti vogliono mettere becco nella politica estera”: la Casa Bianca, il Consiglio Nazionale di Sicurezza, il Dipartimento di Stato, il Pentagono, le Commissioni di Camera e Senato, i partiti, le università, i sindacati, i think tank… Nella sua analisi, che ricordiamo essere quelle di un ex-diplomatico a Washington, “le Amministrazione repubblicane hanno linee che possono essere più o meno condivise, ma che sono per lo meno relativamente univoche; al contrario, quello Democratico è più una coalizione di lobbies e interessi che un partito omogeneo”. Dunque, questa tendenza rischia di accentuarsi. Certo, bisognerà vedere Obama concretamente al lavoro…