L’anomala allegria di Fassino

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L’anomala allegria di Fassino

26 Aprile 2017

L’anomala allegria di Fassino. “Con Macron anche in Francia è nato il centrosinistra” dice Piero Fassino alla Repubblica del 24  aprile. Che uno come Enrico Letta quasi festeggi (“E’ una crisi profonda che riguarda la sinistra e le sue organizzazioni politiche” così con una certa gioia si esprime sul Corriere della Sera del 24 aprile) il crollo clamoroso del partito socialista francese, è comprensibile. Mezzo democristiano, mezzo tecnico, legato a un Romano Prodi più attento a movimenti (e traffici) internazionali che a vere prospettive politiche, #enricostaisereno non ha debiti con una certa tradizione. Fassino invece sulla Sfio, su Epinay, sul mitterrandismo ci ha ragionato una vita e  quindi dovrebbe chiedersi se disperdere così allegramente una storia in  parte centenaria in parte più propriamente quarantennale, sia proprio “una conquista politica”. O se invece innovare senza ricostruire non sia il modo per preparare un centrosinistra così vincente come quello che proprio Fassino ha messo in piedi a Torino.

Quelli per cui il passato non può e non deve passare mai. “The trading system has been the basis of the post-world war prosperity” Martin Wolf sul Financial Times del 19 aprile apre una dura polemica con l’amministrazione Trump  perché mette in discussione un certo assetto dei rapporti commerciali (“la base del progresso del dopo 1945”) con alcune aree del mondo. Wolf non prende neanche in considerazione gli argomenti di Wilbur Ross, il segretario al Commercio americano, che contesta il concreto protezionismo di europei e cinesi in tanti campi. No! Gli accordi cresciuti dopo il 1945 non vanno modificati altrimenti è leso “libero commercio” con tutte le disgrazie che ne conseguono. Con un’ispirazione per molti versi analoga nel numero di maggio giugno 2017 di Foreign affairs, G. John Ikenberry scrive che “The world’s most powerful state has begun to sabotage the order it created” il più potente stato del mondo sta mettendo in discussione l’ordine che lui stesso aveva costruito. La fine dell’Unione sovietica, la prepotente presenza della Cina in campo mondiale, le scosse nel mondo islamico, il micragnoso e mercantilistico egemonismo della Germania sull’Europa, l’esaurirsi della logica di scambio che ha dominato il mondo per alcuni secoli sono tutti fattori che i grandi commentatori non prendono in esame. Apparentemente ispirati dall’idea che la politica sia finita, per cui i problemi sarebbero solo tecnici e da risolvere nel quadro che si è consolidato nella fase post ’45, si rifiutano di comprendere come il problema non sia quello di inseguire un vecchio ordine (come facevano tanti “tecnici” accecati da “un progresso inarrestabile” nel primo Novecento preparando così l’esito della Prima Guerra mondiale) che si è esaurito, ma di avere “una politica” per costruirne uno nuovo, necessario anche per difendere e affermare “il libero scambio”.

Malattie da premier bambino. “L’Italia è stata inserita nella lista dei Paesi a rischio morbillo” scrive Antonio Polito sul Corriere della Sera del 19 aprile. Chiunque sia stato genitore e abbia mandato i suoi bambini in un asilo nido avrebbe previsto che scegliere presidenti del Consiglio sempre più giovani produceva danni collaterali.

Pisapia si attacca al tram. “Se si sommano i voti di Melanchon, che non è estremista,  a quelli socialisti, si ha la prova che il campo di centrosinistra è tutt’altro che sparito” dice Giuliano Pisapia alla Repubblica del 26 aprile. Questa idea di sommare i voti di Melanchon a quelli degli hollandiani non per nulla viene in mente a uno che ha fatto il sindaco di Milano e che da questa città ha assorbito una massima di grande saggezza: “Se me nono gh’era ul trolei al saria sta un tram” Se mio nonno fosse stato collegato da un trolley alla rete elettrica municipale, sarebbe stato un tram.