L’antipolitica di ieri e di oggi

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L’antipolitica di ieri e di oggi

09 Settembre 2007

Il volume di
Domenico Fisichella Crisi della politica
e governo dei produttori
(Carocci, Roma, 2007) affronta un tema classico
nella storia del pensiero politico e al tempo stesso assai presente nel
dibattito politico di oggi: si tratta del confronto stabilito  tra democrazia e tecnocrazia, governo di
tutti e governo degli esperti, legittimazione dal basso e cooptazione
dall’alto, sovranità popolare e guida delle élites. Lasciando perdere le
origini antiche, spesso fuorvianti, l’autore rintraccia le origini di questo
confronto e scontro nel pensiero politico ottocentesco, e in particolare in due
autori: Saint-Simon e Comte. Saint-Simon risulta essere così da questa attenta
indagine il primo autore contemporaneo che proponga un governo degli esperti.
Ma chi sono gli esperti per Saint-Simon? Sono gli industriali: cioè i
produttori, i lavoratori, nei tre settori chiave dell’agricoltura, della
manifattura e del commercio. Per Saint-Simon il 
governo dei produttori è l’unico adeguato alla sua epoca – che è a suo parere l’epoca industriale che
ha fatto seguito all’epoca feudale – e deve prendere il posto del governo dei
legisti e dei metafisici: la Rivoluzione francese è stata una rivoluzione borghese,
ma ancora a opera di questo ceto sociale al quale deve sostituirsi invece il
ceto degli industriali, della classe laboriosa. La proposta di Comte, in
continuità e parziale rottura con quella di Saint-Simon, viene seguita
puntualmente nella sua parte critica e nella sua sistematica parte ricostruttiva:
l’autore pone così sotto i nostri occhi una interpretazione complessiva del
pensiero sociale e politico di Comte, dalla filosofia della storia all’idea di
un governo della società attuale, fino alla sua concezione della religione
necessaria nella società compiutamente positiva.

Questo volume
getta solo sguardi in prospettiva sulle ideologie tecnocratiche che hanno fatto
seguito a quelle dei due precursori, nella convinzione che sia più importante
comprendere il significato della proposta di Saint-Simon e Comte piuttosto che
seguire le vicende successive dell’ideologia tecnocratica: mentre l’analisi dei
due autori è puntuale, sembra dagli accenni dell’autore che tale ideologia
abbia detto sempre una stessa cosa: invece, l’ideologia tecnocratica ha assunto
nel corso del tempo e nei vari autori che l’hanno sostenuta significati anche
molto diversi. Se è vero che l’opera di chiarificazione del pensiero dei due
autori è preziosa, è anche vero però che le riproposizioni lungo tutto il corso
del secolo passato dell’ideologia tecnocratica sono interessanti: e il loro
contenuto non coincide sempre con la formulazione iniziale dell’ideologia
stessa. La competenza che la tecnocrazia postula attinge a professioni e saperi
diversi, tanto che gli esperti non sono gli stessi da Saint-Simon fino a noi:
da Veblen a Burnham, dagli americani ai francesi, si è trattato volta a volta
di ingegneri, economisti, informatici, esperti di organizzazione, capi di
azienda, direttori di produzione.

Dove Fisichella invece vede giusto è
nell’individuare un nucleo comune a tutta quanta l’ideologia tecnocratica,
dall’inizio a oggi: è l’idea della inutilità della politica. In una società
industriale la politica non è più necessaria – afferma la tecnocrazia – a
governare la società; a far questo serve invece la competenza, che esautora
completamente la politica e la rende superflua. Saint-Simon e Comte sono
profeti per più versi a parere di Fisichella: perché concepiscono per primi
l’ideologia tecnocratica che poi sarà una costante nel panorama delle
concezioni sociali e politiche delle società sviluppate; perché intravedono
essi stessi i pericoli ai quali va incontro una società guidata dagli esperti
(positiva, nella loro terminologia); perché propongono per primi quella
antipolitica della quale oggi tanto si parla.

Ma è proprio su
quest’ultimo tema che i due autori si rivelano lontani da noi: essi usano
“antipolitica” in un significato diverso da quello attuale, seppure anch’esso
legato all’ideologia tecnocratica. Oggi, infatti, si osserva un diffuso
atteggiamento contrario alla politica a causa della corruzione del ceto
politico; allora, invece, si teorizzava la necessità per la società industriale
di essere governata da persone competenti: la politica veniva cioè identificata
non con la corruzione, ma con l’incompetenza. La tecnocrazia è una ricetta che
risponde a entrambe le critiche: il competente, il tecnico, l’esperto, fa quel
che è necessario, opera sulle cose (e non sugli uomini) e non ha bisogno della
corruzione per mantenersi al potere. L’esperto, inoltre, è competente per
definizione. C’è un terzo problema di fronte al quale la tecnocrazia si pone
come rimedio: quello della conflittualità sociale, sul quale il volume insiste
molto e a ragione, con una serie di interessanti paragoni tra i due positivisti
e la teoria sociale e politica di Marx. Da questo punto di vista, mentre la
società democratica è agitata da conflitti di classe, il governo degli esperti
si propone di ricomporre il corpo sociale in modo armonico attorno a obiettivi
generali.

Alla fine
l’interesse dell’autore sembra essere diretto più al rapporto fra potere
materiale e potere spirituale, allora e oggi, che non al confronto e alla opposizione
fra democrazia e tecnocrazia. Il tema della spirituialità nella società
positiva viene fatto emergere con pienezza sia in Saint-Simon sia in Comte, in
controtendenza rispetto all’interpretazione corrente che vuole l’impianto
religioso dei due sistemi positivisti posticcia oppure irrilevante. Questo
tema, che tanto sta a cuore a Fisichella in linea con un suo interesse di
sempre, viene declinato a partire da e contro i due autori presi in esame: essi
infatti da un lato lo propongono all’attenzione, dall’altro indicano proprio in
esso i pericoli che la realizzazione della società positiva produrrebbe. In
questo modo, il tema della necessità di élites esperte affinché una società sia
ben governata lascia il posto al tema della presenza di spiritualità affinché
una società non cada preda del materialismo, delle divisioni, della corruzione:
tanto che in queste pagine fa la sua comparsa l’evocazione di un esaurimento
dell’Occidente.

Il primato
dell’economia a cui darebbe luogo una società industriale a cui fosse sottratta
la presenza dell’intelligentsia e una viva spiritualità coincide per Fisichella
con il rifiuto della politica implicato da ogni ideologia tecnocratica: così,
questo testo solo apparentemente lineare e tanto aderente alle convinzioni
dell’autore quanto al pensiero degli autori presi in esame, termina con una
apologia della politica che vede nella presenza della dimensione politica in
una società una condizione essenziale della libertà, e nella auspicata (dalla
tecnocrazia) scomparsa della politica l’esposizione della società a un pericolo
inedito di oppressione e scontro incontrollato. Scrive Fisichella: “La fine
della politica liquida l’arena – conflittuale, competitiva, collaborativa,
mediativa, decisionale, coattiva, comunque in ultima istanza istituzionale –
ove etica ed economia operano per trovare le forme, certo sempre
tendenzialmente mobili, delle loro composizioni, ove altrettanto cercano di
fare competenza e volontà, interessi particolari e vocazioni altruistiche,
passioni e ragioni.” Se la crisi della democrazia è sotto gli occhi di tutti,
non è rifiutando la politica che ne usciremo – sostiene Fisichella: perché “la
politica è bivalente: si alimenta di conflitti ma lavora anche per la
risoluzione pacifica dei conflitti”.

In tempi di
antipolitica come quelli che viviamo non è sempre facile credere alla verità di
queste riflessioni, ma è tanto più utile tenerle a mente.