L’antipolitica non esiste. E’ la sinistra a non avere più il senso della realtà

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L’antipolitica non esiste. E’ la sinistra a non avere più il senso della realtà

L’antipolitica non esiste. E’ la sinistra a non avere più il senso della realtà

26 Maggio 2007

Citazione dòtta per cominciare: “Il noto, proprio in quanto tale, non è conosciuto”, Hegel, Prefazione alla Fenomenologia dello spirito. L’Italia postmoderna sembra aver smarrito la percezione della realtà, cioè di quel “noto” a tutti, che, paradossalmente in quanto tale, non è affatto conosciuto. O, meglio: si finge di non conoscerlo.

Se D’Alema straparla di crisi della politica e poi snocciola la litania delle riforme mancate, non resta che da dire: sono tutte le riforme del centrodestra, inclusa quella costituzionale, che tu hai criticato e poi lasciato decadere con un referendum demenziale. Niente di nuovo sotto il sole. L’antipolitica non esiste, è la retorica della minorità politica; quando la sinistra è alla frutta o, come appare, almeno ai miei occhi, evidente, addirittura finita (almeno in Italia, ma vedo segnali in questa direzione anche in Francia, altro Paese-cult per i compagni del Vecchio Continente: cfr. le dimissioni senz’onore né fu apertura progettuale di Hollande, del PS di M.me Royal), qualche autorevole esponente di questa compagine ormai minoritaria, esclama: crisi della politica, crisi della politica, crisi della politica, cioè, in formula un tempo anti-berlusconiana, anti-politica.

La Gagliardi ha ragioni da vendere quando, assommando le minorità italiane, giunge a mettere nel sacco tanto il riformismo mancato della sinistra cosiddetta “moderata”, quanto il capitalismo italiota (non italiano) di Luca Cordero di Montezemolo, noto soprattutto per i suoi sedici incarichi, se non ho perso il conto, e il fatto che percepisce rendite miliardarie per essere parte della grande confraternita degli Agnelli. Non mi risulta che questo signore possa vantare altri meriti. Il “noto” è dunque di fronte a noi: è la realtà italiana. Fotografata magnificamente da un liberale fuori dal coro (anche liberale) come Ricossa, in un libro dato alle stampe per la Rizzoli nel 1995, “Come si manda in rovina un Paese. Cinquant’anni di malaeconomia”. Ricossa aveva le idee molto chiare e, riprendendo qualche passaggio di allora, si resta colpiti dall’assoluta attualità di certe valutazioni: “I post-comunisti italiani hanno il caos nella testa” (p.246). Infatti D’Alema, per legittimare lo scacco della sua politica (anche estera, tra un po’ ne vedremo delle belle…), attacca ciò che lui ha sempre elevato a totem ideologico e pratico, la Realpolitik, e si scatena contro la sua creatura: ma tutto per riavere in mano il pallino, che, però, non riavrà più in mano. Una rincorsa disperata verso il nulla.

Altro che “casta”! Magari questi fossero una vera casta o comunque una élite legittimabile, in qualche modo. Il fatto è che, invece, uomini così non sono più legittimabili e rimangono alla testa di eserciti virtuali. E’ questa sinistra, allora, che costruisce la critica a se stessa per non dover tirare il calzino anzitempo. Nel caos, che imprigiona le loro teste e la realtà, domina comunque un apparato grigio, neppure una casta, che vegeta nella sua autoreferenzialità astratta. Astratta e grottesca. Qualche dato reale, non statisticamente testato per gonfiare le prime pagine dei giornali. Prendiamo l’euro. Se la sinistra avesse avuto una legittimazione popolare avrebbe certamente potuto far ingoiare il rospo dell’euro, nel medio e lungo periodo. Invece, una volta al governo, non soltanto ha massacrato di tasse gli operai che guadagnano meno di 1300 euro al mese; non soltanto si è ostinata e continua ad ostinarsi a non prendere in considerazione il quoziente familiare, per garantire un dogma inesistente, la progressività dell’imposizione fiscale; non soltanto non ha preso in considerazione le grandi questioni nodali, il nesso mutui-famiglie ad esempio (ne deve parlare Mons. Bagnasco, se no silenzio tombale, salvo qualche rara eccezione a destra), cioè il futuro materiale e spirituale del Paese, ma, in aggiunta a tutto ciò, ha continuato a scassare ancora, edificando un sistema di rendite che diventa un Moloch inossidabile. Rendite spostate dalla politica nelle tasche degli amici e degli amici degli amici, e così via a catena. Una catena di Sant’Antonio, che le classi medie, cioè il punto di vista di classe da assumere, detestano e vivono come un totalitarismo, per un verso, e come un Fato con il quale arrivare alla tomba.

La politica, dalla fine degli anni ottanta, ha cessato di essere un ganglo del sistema-Paese, inserita in una trama comunitaria, e si è auto-alimentata di rendite e consensi virtuali. Mani Pulite, in questo disegno, deciso anche su scala internazionale, ha assunto la “ragione sociale” di Antipolitica Spa. Ecco l’origine del presente: lo sradicamento della politica dalle comunità, unica fonte di legittimazione delle élites, ha reso la politica odiosa e impresentabile. Un dazio da pagare. Finché si può. Oggi non si può più, perché l’euro ha strangolato le famiglie e il ceto medio, e dunque il tappo è saltato. Tutto qua. Cercare oggi la legittimazione della politica è come pensare di ridare la verginità ad una prostituta: non è soltanto impossibile, è inconcepibile. La legittimità, la politica, deve riprendersela sulla base della realtà che ha di fronte, senza infingimenti e inganni, assumendosi le responsabilità dovute e necessarie, facendo uso dell’etica della responsabilità senza tradire l’etica della convinzione, e smettendola di paragonarsi ai poteri morti della Confindustria e delle banche. Altrimenti, poche ciance, vinceranno loro, solo perché capaci di mimare retoricamente quel che mai hanno conosciuto, cioè i bisogni del nostro popolo, e, attingendo alle risorse economiche provenienti dai nostri conti correnti, invaderanno ogni spazio della vita pubblica, mettendo sotto schiaffo la politica. Il “governo dei tecnici” fa rabbrividire, ma, attenzione, le cose nascono quando il contesto le fa nascere. Chi si lamenta è già vittima del suo male. Per uscirne, c’è un solo modo: parlare della realtà e possibilmente cambiarla. Magari senza ricercare alibi e senza troppa demagogia.

P.S.: Un passo citato nel libro di Ricossa può chiudere degnamente quel che ho tentato di argomentare: “Agli statalisti: “Avete la tracotanza di trasformare certi servitori dello Stato in spie degli animi, in gente onnisciente, in filosofi, teologi, politici, in oracoli di Delfi…Vera tracotanza è attribuire a certi individui la perfezione della specie, credere che le vostre istituzioni di Stato siano abbastanza potenti da mutare un debole mortale, un funzionario, in un santo, e rendergli possibile l’impossibile””. Ops, a proposito…spiega Ricossa: “Non sono parole di Adam Smith, ma di Karl Marx” (p.279). Quando si dice l’amore alla realtà…