Lasciateci lavorare (di G.Quagliariello)

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Lasciateci lavorare (di G.Quagliariello)

Lasciateci lavorare (di G.Quagliariello)

30 Maggio 2021

Questa settimana è successa una cosa nella politica italiana. Il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, con una pattuglia di deputati al seguito, e “Cambiamo” di Giovanni Toti hanno avviato il percorso che porterà alla nascita di un soggetto chiamato “Coraggio Italia”. Ne avevamo già parlato qui sull’Occidentale, avanzando umilmente qualche opinione sulle caratteristiche che l’intrapresa avrebbe dovuto avere per proiettarsi verso una prognosi di successo. Devo dire che l’inizio fa ben sperare.

Vista in un’ottica più ampia, le novità può essere oggetto di due differenti letture. La prima è una lettura interna, che in un gergo non elogiativo potremmo definire “politichese”: si fonda sull’unico metro dell’appartenenza partitica dei parlamentari e sull’obbligo di gentilhomerie fra le forze politiche, che dovrebbe impedire cambi di gruppo in corso di legislatura. Posto che il tema dei gruppi parlamentari mi appassiona poco perché da anni coltivo l’ambizione di un processo rifondativo che parta dal basso e dai territori, la domanda – come direbbe Marzullo – nasce spontanea: in un momento di grandi rivolgimenti, se c’è un iceberg parlamentare che si stacca da un blocco è più utile offrire una casa o lasciare che forze potenzialmente d’area si disperdano?

La seconda lettura è più esterna. Siamo di fronte a una crisi senza precedenti nella storia repubblicana; all’opportunità di un ingente afflusso di denaro che potremmo non ricevere in caso di inidoneità o peggio sprecare in caso di incapacità, con tutto ciò che ne consegue trattandosi di soldi prevalentemente a prestito; insomma, alla necessità di una ripresa reale. Di cosa c’è bisogno per gestire una fase così complessa e cruciale? Quale la proposta politica adeguata, quale la classe dirigente all’altezza? Come affrontare questo tornante, tenendo anche conto il contesto di un governo di unità nazionale che questa situazione ha determinato?

Io credo che nel rispetto di tutte le posizioni, e anche dei legittimi risentimenti, abbiamo un dovere di realismo. Se nel prossimo futuro sarà ancora quello attuale l’assetto politico-istituzionale con il quale confrontarsi – e dunque le coalizioni, la contrapposizione centrodestra-centrosinistra, l’avvicinamento fra Pd e M5S per costituire il nuovo blocco di sinistra – c’è evidentemente bisogno, nell’interesse di tutto lo schieramento, di un riequilibrio interno alla nostra metà campo. C’è bisogno di un’area che affianchi le due forze già esistenti a destra e ben strutturate, con un’offerta liberale e una classe dirigente in grado di interpretarla. Un po’ come fu con il mai abbastanza rimpianto PdL. Anche al fine di non sprecare la portata legittimante che in questo momento critico, soprattutto per quanto riguarda la Lega, può derivare dall’esperienza del governo unitario di emergenza.

In assenza di questo assestamento interno – che, come diremo a breve, non punta tanto a “ridistribuire” quanto ad allargare il bacino di consenso della coalizione –, il centrodestra potrà anche vincere le elezioni ma difficilmente riuscirà a governare. Come in ogni fase di crisi, infatti, la realpolitik resta uno degli attori protagonisti del gioco politico e se non saremo in grado da soli di darci un assetto equilibrato, si metteranno in moto spinte concentriche che porteranno, all’interno dei partiti esistenti, a una selezione naturale delle aree e delle persone ritenute più prossime a una cultura moderata di governo. E’ già accaduto in occasione della formazione dell’attuale esecutivo, e Lega e Forza Italia lo sanno bene per averlo sperimentato direttamente.

Un riequilibrio serve dunque innanzi tutto a provare a vincere più facilmente, a conservare l’attuale assetto di coalizione (che in assenza di una seria strutturazione si disperderebbe inevitabilmente verso un esito di tipo proporzionale), a potenziare la capacità di governo. E, in secondo luogo, serve anche a restituire sovranità agli stessi partiti, che in caso contrario – come la storia recente ci insegna – si vedranno espropriati delle proprie scelte interne da meccanismi che saranno più grandi di loro.

Ecco perché, smaltite le reazioni più immediate ed epidermiche, tutti nel centrodestra dovrebbero comprendere che l’operazione di Toti e Brugnaro è nell’interesse della coalizione e di ciascuno dei suoi componenti. E, per la stessa ragione, il processo costituente del nuovo soggetto dovrà essere aperto, costruito dal basso, portato avanti senza escludere nessuno, e non concepito in ostilità nei confronti di Forza Italia.

Certo, l’equilibrio all’interno di una coalizione non si impone per legge e neanche per atto notarile. Ma se all’interno di uno schieramento ci sono forze che a mani nude e a proprio rischio e pericolo si assumono l’onere di provare a realizzarlo, sarebbe poco lungimirante da parte di chiunque tentare di inibire questo processo e uccidere un’intrapresa nella culla.

Sappiamo che ci vorrà del tempo perché tutto questo appaia chiaro. Ed è evidente che questo percorso potrà trovare un momento di piena legittimazione nella battaglia comune in vista dell’elezione del Capo dello Stato, affinché per una volta il centrodestra ne sia protagonista e non si limiti a subirla come comprimario. Il nuovo contenitore ha già portato in dote una decina di voti che fino a qualche giorno fa sarebbero stati ascrivibili all’altra parte. Lasciateci lavorare e sarà un bene per tutti.