Lasciatemi almeno l’orgoglio di dirmi liberista

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Lasciatemi almeno l’orgoglio di dirmi liberista

11 Settembre 2007

Sono un semplice operatore economico che cerca ogni giorno di districarsi tra le maglie viscose della burocrazia, per trovare in questo nostro malandato Paese, quello spazio competitivo minimo che consenta di esercitare responsabilmente la propria libertà di intraprendere. Ho pochi titoli quindi per entrare nella dotta discussione tra intellettuali e professori che in queste settimane si è accesa a seguito dell’uscita del libro degli economisti Giavazzi e Alesina, dal titolo “Il liberismo è di sinistra”.

C’è tuttavia un aspetto che mi induce a partecipare al dibattito, con tutta la modestia possibile, s’intende. Io liberista lo sono da sempre e da sempre voto e mi sento di destra, prima di ogni “svolta”, prima di ogni muro crollante, quando i presunti riformatori odierni, marciavano compatti a pugno chiuso e con le molotov in tasca. Quando loro pontificavano dalle spiagge di Capalbio e dai colli di Barbiana l’eguaglianza da socialismo reale, a me piaceva il fresco del Mont Pelerin affascinato da Hayek e von Mises.

Qualche settimana fa il Corriere della Sera, organo del candidato alla segreteria del Pd Veltroni (anche Walter ha i suoi mandanti), ha lanciato una campagna per così dire culturale, nel tentativo di ripulire definitvamente il (come noto inesistente) passato comunista del candidato, per appicicargli addosso l’etichetta di nuovo riformatore, definito come la sintesi ecumenca di un po’ di mercato, un po’ di società (possibilmente chiusa, perché anche il patto di sindacato ha le sue esigenze) e uno spruzzo di pauperismo-buonismo, tanto perché poi con la sinistra radicale, l’accordo bisogna pure farlo. Ovviamente questa campagna passa anche dalla necessità di deligittimare chi liberista, e per di più di destra, lo è e lo è sempre stato.

Ha iniziato Ostellino (cosa bisona fare per lavorare al Corriere) che ci ha fatto sapere che nel centro-destra gli intellettuali non ci sono. Questo perché Berlusconi ne ha paura, ha paura della loro coscienza critica ed è perciò che nella CdL non c’è classe dirigente, non c’è cultura, c’è il nulla. Tutto sommato, non mi sembra sinceramente una tragedia devastante l’assenza di intellettuali e comunque potremmo sempre tentare di recrutare Asor Rosa, appena dimessosi da intellettuale di sinistra e in libera uscita.

Ha proseguito l’ineffabile Severgnini (per inciso, non perdetevi la sua intervista a Michael Moore su Sky, un dialogo ridicolo, privo di ogni senso e paradossale, tra un contadino del Michigan e un damerino di South Kensington; a entrambi si consiglia una visita nei corridoi del Policlinico tra topi e mozziconi di sigarette). Severgnini partendo dalla posizione di Ostellino rincara la dose. Non solo nel centro-destra non ci sono intellettuali, ma tutti coloro che in qualche modo fanno politica nella CdL, sono inetti al servizio del padrone Berlusconi. Insomma un’opposizione trinariciuta e priva di cultura, che parla sì di liberismo e libertà, ma quasi per caso, senza comprenderne il senso.

Sistemato così il centro-destra, si trasla il liberismo a sinistra. Ritorna Ostellino, per dirci che quando faceva il corrispondente da Mosca negli anni dell’Urss e veniva criticato dalla sinistra nostrana perché raccontava delle miserie del socialismo reale, lui si sentiva sì liberale, ma di sinistra. Ostellino continua affermando che la cultura liberale sta degenerando in una interpretazione strettamente economicistica del liberalismo, dove la sacralità dell’Individuo è subordinata ai capricci del mercato (se non fosse per l’individuo con la I maiuscola, sembrerebbe una versione soft di Diliberto), fino ad affermare – citando Sartori – che i maggiori rappresentanti del liberalismo politico aborrivano il laissez faire e predicavano la rule of law e lo Stato costituzionale. Insomma i padri ispiratori pensavano ad una specie di liberalismo in libertà condizionata.

Prosegue la campagna, sempre sul Corriere, il professore Panebianco. Egli è evidentemente dotato di un po’ di pudore, infatti dice che il liberalismo non è né di sinistra (sic!), né di destra. Ma non è di destra, perchè la destra è corporativa, facendoci così sorgere il dubbio che il professore sia rimasto al Ventennio  e non abbia mai sentito parlare di Margaret Thactcher. Pare inoltre che non abbia mai sentito parlare nemmeno di Hayek, perché solo ora si accorge che il liberalismo economico “è in grado di realizzare gli obiettivi di equità e uguaglianza delle opportunità che sono storicamente ideali di sinistra”. Leggendo infatti attentamente ciò che il grande economista liberista austriaco scrisse ad inizio del secolo scorso, ci saremmo risparmiati sia il libro del duo Giavazzi-Alesina e le susseguenti di esso, esegesi, sia decenni di statalismo interventista e opprimente.

Insomma se la cantano e se la suonano. In definitiva ci dicono, voi liberisti avete avuto sempre ragione, ma inconsapevolmente, perché antropologicamente inetti a comprendere la verità. Ci prendiamo le vostre idee e ci pensiamo noi.

D’altra parte questo è solo un aspetto di un tentativo, attualmente in atto, più generale di appropriarsi di posizioni autenticamente liberali e conservatrici: dalla tolleranza zero di Amato e i lavavetri di Firenze al ripristino del principio di autorità auspicato da Rutelli, per non parlare del patto fiscale presentato da Veltroni, che neanche il colbertista Tremonti potrebbe immaginare.

Non basta uno Stato opprimente e affamato che ci rapina ogni giorno per mantenere le sue rendite di posizione, non basta l’inefficienza degenerante di ogni sia pure minimo servizio di base, non basta l’assenza di legalità che imperversa in ogni angolo del Paese, non basta l’antistoricità della sinistra radicale, non bastano giudici della Corte Costituzionali, generali della Guardia di Finanza, membri del CdA Rai costretti alle dimissioni, un’università nelle grinfie di Mussi, infrastrutture fatiscenti, la compagnia di bandiera che fallisce, l’età pensionabile che scende, privilegi che aumentano, fannulloni intoccabili, case acquistate a prezzi di favore … a tanto altro ancora.

Adesso ci vogliono pure rubare le nostre idee e i nostri valori. In nome della libertà in cui crediamo, vogliamo permetterglielo?