L’attacco fascista alla Francia non fu una “pugnalata alle spalle”

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L’attacco fascista alla Francia non fu una “pugnalata alle spalle”

09 Agosto 2009

Dice Paolo Mieli che la storia si scrive sempre due volte. La prima la fanno i vincitori e, in generale, coloro che si omologano al giudizio diffuso, senza preoccuparsi di indagare le ragioni di chi sta sulla riva opposta del fiume. La seconda, sono gli “altri”, appunto, a conquistare spazio e attenzione scientifica. E con loro, quelli che hanno provato a cercare una via alternativa all’analisi dominante.

E’ accaduto per molte vicende rilevanti, come le foibe, i crimini di Stalin, la guerra partigiana, solo per citare i più recenti del XX secolo, e senza la pretesa di essere esaustivi. Ma è accaduto anche per quelle meno conosciute, magari – ed erroneamente – ritenute di minore importanza, che però, a conti fatti, non hanno mancato spesso di condizionare rapporti tra Stati o di marchiare sentimenti popolari e politici. E’ proprio questo il caso del famigerato “coup de poignard dans les dos” che l’Italia avrebbe inferto alla Francia nel 1940, scatenando le ostilità della seconda guerra mondiale contro di essa. Ebbene, perché ritornare dopo quasi settant’anni su un episodio a prima vista secondario? Addirittura Mario Cervi ha scritto sul Giornale che in fondo personalmente “non ne vedo l’importanza”. E invece proporre l’esegesi di quel momento, che ha segnato i rapporti italo-francesi durante e dopo la fine della seconda guerra mondiale (e certamente ha contribuito a generare qualche idiosincrasia…), è ora tanto più utile e interessante, in quanto l’editore fiorentino Le Lettere ha appena pubblicato in Italia A Palazzo Farnese. Memorie di un ambasciatore a Roma 1938-1940. Libro uscito oltralpe addirittura nel 1961, che raccoglie il racconto dell’esperienza di André François-Poncet, rappresentante diplomatico della Repubblica di Francia presso il regime fascista fino allo scoppio delle ostilità tra Roma e Parigi.

Al di là dell’indubbio valore letterario del diario, fluido e ben scritto, che denota la felicissima penna del Poncet, in grado di tratteggiare con intelligenza e ironia gli interlocutori incontrati (da Pio XII al direttore della Scuola francese di Roma Jerôme Carcopino, al Duce), così come le adunate gallofobe, o gli appuntamenti culturali presso la sua residenza, ciò che maggiormente rileva è però la testimonianza contenuta nel documento. Alle 16.30 del 10 giugno 1940, nel momento in cui il ministro degli Esteri fascista Galeazzo Ciano comunicò all’ambasciatore francese l’intenzione dell’Italia di entrare in guerra contro il governo di Parigi (tra i due, tra l’altro, si era ormai instaurato un rapporto di stima e comprensione reciproca dei ruoli), per tutta risposta François-Poncet ammonì che l’Italia avesse “aspettato di vederci in ginocchio per accoltellarci alle spalle”.

Testimonianza che però differisce da quanto raccontato nel suo Diario da Ciano stesso, secondo il quale l’ambasciatore francese avrebbe detto: “è un colpo di pugnale a un uomo in terra”. E quest’ultima circostanza è sicuramente più attinente ai fatti per come in effetti accaddero. Il distinguo, rilevato e analizzato nel bel saggio introduttivo dal diplomatico e storico Maurizio Serra, non è di poco conto. Perché fino ad oggi l’attenzione della storiografia – con rare eccezioni – si è soffermata maliziosamente sulla parte fisica…sbagliata dell’uomo a terra: le spalle. Assumendo, così, che Italia e Francia avessero stretto un’alleanza precedente alla guerra, e che la prima (les Italiens!) avesse quindi tradito (come di consueto, perché no…) l’amico parigino. Mentre ben più opportuno sarebbe stato rilevare la prostrazione francese quando l’Italia in maniera vile – questo sì, inutile negarlo – attaccò e diede inizio alle ostilità. Un’aggressione malvagia, per star dietro all’alleato tedesco che stava conquistando mezza Europa e per uscire dall’ambigua condizione di nazione “non belligerante”. Ma certo non inaspettata, né infame.    

Insomma, il tradimento e la pugnalata alle spalle presuppongono lealtà e amicizia, che i due Paesi allora non avevano. Anzi. Nonostante il feeling tra alcuni alti esponenti politici e intellettuali, e la non ostilità tra i due popoli, diversi erano stati gli episodi di tensione tra Roma e Parigi: la frontiera alpina era militarizzata e la stessa Marina francese aveva progettato un attacco contro l’Italia. Si aggiungano inoltre i problemi dovuti alla diversa gestione della guerra civile spagnola, le rivendicazioni italiane su alcuni territori del Nord Africa, la Corsica e la Savoia, nonché la denuncia da parte di Ciano dell’accordo Mussolini-Laval del 1935. Due nazioni non nemiche quindi, ma certo non alleate.

L’autoironia è un’ottima dote. Ma fregiarsi partigianamente delle beffe che provengono dall’estero è una tendenza tutta italiana e fa parte di una esterofilia congenita. Un vizio di sostanza che non manca di nuocere alla reputazione e al prestigio del nostro Paese. Citare recenti casi di cronaca politica sarebbe fin troppo scontato. Talvolta però vengono in soccorso documenti interessanti, come quello di François-Poncet, che aiutano a smascherare interpretazioni discutibili e pregiudizi ingiustificati. Sarebbe il caso di leggerli attentamente e di capire che forse, spesso, abbiamo certo da imparare, ma non molto da invidiare.