L’augurio per il 2012 è che il “sintomo” crisi si curi con gli “antibiotici” giusti
29 Dicembre 2011
Nessuno è contento se ha il mal di pancia; ma se la pancia non ti avvertisse con una fitta in basso a destra, non ti renderesti conto di avere l’appendicite e in ventiquattro ore andresti all’altro mondo. E’ un paradosso, ma bisogna essere ciechi per non essere contenti che il dolore al cuore e al braccio sinistro ti ha fatto correre dal dottore e salvato da un infarto. Così per la crisi economica. Nessuno se la augura. Ma chissà che ne possa venire del bene?
E’ l’augurio di questo fine anno.
La crisi è un dolore, è un sintomo di una situazione grave: più che una patologia, è il segno di una patologia. Quale? Guardiamoci intorno: viviamo tutti sopra le righe e sopra le nostre possibilità; sprechiamo acqua, carta, benzina, soldi; compriamo cose inutili,che mettiamo subito via; compriamo per il piacere di comprare che più che piacere è un vizio, cioè una compulsione. E non ne traiamo nessun piacere, e certo non il piacere che ci promette la pubblicità.
E pensiamo di aver diritto a tutto quello che trent’anni fa nemmeno ci si sognava: chi non pensa che sia diritto di una famiglia avere un PC, un iPod, due o tre televisori con cento canali a disposizione su cui perdiamo più tempo a scarrellare che a guardare qualcosa (chi si ricorda dopo un’ora di TV di quello che ha visto?); e mi raccomando in HD per vedere i peli delle orecchie dei calciatori!
Tutti pensano di aver diritto a tutto e nessuno vuol seminare, raccogliere, coltivare, mietere, pulire le strade, lavare i piatti, vendemmiare, pulire i vetri, cambiare le padelle ai malati. Tutti vogliono tutto. E le fabbriche scappano all’estero. A noi basta il nostro tenore di vita. Sopra le righe. Che poi scoppia.
Scoppia perché nessuno si fida più di nessuno, perché non si fanno più figli, perché si buttano via i figli se sono malati e ancora non sono nati, o se dopo essere nati non ci fanno fare bella figura: sono unici, soli, gli diamo tutto ma proprio tutto… e si azzardano a non andar bene a scuola (e obbligarci a studiare con loro?! Ma non si vergognano!?).
La malattia – di cui la crisi è il sintomo, come le bolle sono il sintomo del morbillo – è l’indifferenza e la paura che genera l’indifferenza. Come si manifesta? Con la paura di avere un figlio, di sposarsi, di fidarsi di qualcuno, di dare la pacca sulla spalla all’amico che piange. E’ l’idea folle che ci siano “cose utili e cose inutili” (mentre un tempo tutto era utile: del maiale non si buttava via niente!), e di conseguenza che ci siano “persone utili e persone inutili”, e dunque anche “lavori dignitosi e lavori non dignitosi”. Questa è la malattia, che va avanti da anni, che ha scavato tane nei polmoni, nel cuore e nel fegato della nostra società. La crisi economica grave e maligna è solo il sintomo che questo corpo sta agonizzando.
Servono degli antibiotici mirati, altrimenti la malattia non passa, si aggrava, e dato che ha già scavato fino alle ossa, sta per mandare delle metastasi e uccidere il corpo agonizzante dei popoli opulenti dell’occidente.
Gli antibiotici giusti li conoscono tutti. Eccoli:
Che la famiglia (ma non la barzelletta che la famiglia, anche se si sposa in chiesa, è diventata negli ultimi trent’anni) torni ad essere centrale; che i malati e i bambini (anche ancora non nati) abbiano il primo posto nelle manovre economiche; che la religione (e non la noia di certe “ore di religione” scolastiche) diventi un incontro affascinante, perché lo è! Che si smetta di sprecare, ma non perché le risorse sono poche (questo è un criterio perdente, dettato dalla paura), ma perché si impara a rispettare tutto: dal fiore del campo all’acqua del rubinetto.
Serve tanta buona medicina, tanto tempo e tanta passione (in tutti i sensi).
Ma arriverà il giorno in cui il nostro ECG finalmente sarà tornato normale, in cui la temperatura scenderà sotto 37 gradi; cioè quando smetteremo di guardare al nostro ombelico pensado che è l’universo (come con ben più alte parole ha di recente detto Benedetto XVI, parlando della moglie di Lot). Ne saremo fuori quando smetteremo di fare selezione genetica a tappeto dei figli; quando riprenderemo a parlare con gli altri non solo di quello che fa la Roma o la Juve, o del lamento verso il lavoro; ne saremo fuori quando smetteremo di pensare che la vita è dei “furbi”, sapendo che i furbi ci saranno sempre, ma devono essere bollati come parassiti. Ne saremo fuori quando smetteremo di avere paura di tutto, e di difenderci da tutto. Ne saremo fuori quando le famiglie avranno più bambini e meno cani, perché fare pochi figli e sostituirli con i cani è segno di involuzione sociale.
Insomma, quando la realtà non ci farà più così paura come fa paura alla società occidentale da trent’anni in qua.