L’aurea mediocritas di questo governo fa di Monti il Badoglio dei nostri tempi
20 Dicembre 2011
Ora il decreto salva Italia ha già avuto il voto della Camera, fra poco avrà quello del Senato, ma lo spread è ancora alto. E’ molto opinabile che in Italia ci volesse un governo tecnico per risolvere i problemi urgenti per la difesa dallo spread sul debito pubblico, che il governo Berlusconi non era riuscito a risolvere a causa del dissenso fra l’anima liberale sociale del PDL, quella populista della Lega Nord, e il colbertista Giulio Tremonti.
Non è invece opinabile che occorresse un governo che adempisse alle prescrizioni della Bce e dell’Unione europea come condizione per il sostegno finanziario dell’Italia, secondo il modello vigente, ci era stato dato un programma a breve termine in 6 punti: 1) mettere in sicurezza il bilancio per il pareggio del nel 2013, 2) garantire con una norma costituzionale che il pareggio sarà regola costante, per la riduzione del debito/Pil, 3) fare riforme strutturali nelle pensioni , 4) nel mercato del lavoro , 5) nelle imprese e nei servizi 6) fare una politica attiva di crescita per evitare che il rigore generi deflazione e avvitamento per l’Italia e per l’euro zona.
Il governo Berlusconi con il triangolo Berlusconi Tremonti Lega era in grado di garantire i punti 1), 2), 4) non il 3) per l’opposizione della Lega, non il 6 per l’’opposizione di Tremonti. Per il 5) aveva resistenze di Tremonti colbertista e della Lega per gli enti locali. Di fronte alla impasse, il presidente della Repubblica, considerando come sola alternativa, quella di un governo di unità nazionale ed essendo impossibile la grande coalizione politica, ha preferito il governo tecnico sostenuto dalla grande coalizione, una sorta di nuovo “arco costituzionale”. La elite economico-finanziaria “milanese” e la sinistra hanno gradito questa soluzione, probabilmente accarezzando l’idea di una futura coalizione fra interessi del big business e sinistra cosidetta illuminata. In effetti, secondo la teoria sociologica di Pareto l’elite degli “speculatori” (nel senso ampio del mondo degli affari) si allea con la sinistra, a danno della classe dei redditi fissi, da lui definita i “rentier” (il ceto medio che vive di stipendi, proventi analoghi , reddito mobiliare e immobiliare).
Analoghe alleanze sono state teorizzate, su un piano “ ideale”, da Piero Gobetti negli anni ’20, dalla parte “bancaria” resistenziale del partito d’azione e del partito repubblicano negli anni ’40, da Claudio Napoleoni e da Enrico Berlinguer negli anni 60-83 del ‘900. La categorizzazione sociologica di Pareto rimane in piedi, ma va aggiornata a causa del progresso tecnico ed economico. Il “sogno” di Gobetti, di Napoleoni, di Berlinguer resiste, ma la classe operaia non è più numericamente egemone e la distinzione fra salariati in tuta e stipendiati in colletto bianco è sempre è più nebulosa e spesso errata. La parte maggiore della classe lavoratrice appartiene al ceto medio. Inoltre non c’è solo il mondo del big business, c’è anche quello della piccola e media impresa dinamica. Il PDL rappresenta in larga misura il ceto medio. L’UDC, Fli e le frange ex socialiste di Stefania Craxi mediano fra ceti, presentandosi come centro moderato. Che cosa rappresenti il Pd, come nuova sinistra, non si sa e forse per questo è molto numeroso.
Sicché il mettere insieme un centro moderato e una sinistra alleata al mondo degli affari è una sfida molto più difficile per le elite milanesi che mettere insieme personaggi dell’Università Cattolica che emblematizzano il centro moderato con personaggi della Bocconi che emblematizzano il modello gobettiano, sotto la guida di Mario Monti che ha caratteri anfibi: potrebbe essere il leader cattolico del primo gruppo, ed è stato presidente della Bocconi, che esprime l’altro. E’ in realtà il modello della Luiss di Roma. La soluzione del governo tecnico anziché politico che è stata presa e che è in atto riflette però il fatto che, per non andare a votare subito, non si doveva fare una alleanza a due o a tre para accademica, ma una alleanza a tre, parapolitica, con il parterre di partiti del un nuovo “arco costituzionale”, di cui è componente essenziale il Pdl. Il governo tecnico, dunque, pur rassomigliando a una alleanza accademica, è un espediente transitorio di fronte al problema emergenziale dello spread, e quindi dei 6 punti europei.
E, leader a parte, la mediocrità della sua composizione, con larga presenza di amministrativi di lungo corso, accanto al drappello accademico, ne era la necessaria caratteristica dovendosi cercare figure “non di punta”, e pur tuttavia già note. Il che implica la ben nota ricetta della aurea mediocritas. Di qui la mediocrità dei risultati, e gli erroretti nel compito a casa, che vengono perdonati, perché ora si applica il rito ambrosiano di Natale. La maggior somiglianza di questo governo con uno del passato è, mutatis mutandis, con quello di Pietro Badoglio, dopo il 25 luglio 1943. Anche esso creato dall’alto, allora dal Re, come ora quello Monti dal Presidente della repubblica, con molti amministrativi di lungo corso, con la ricetta dell’ aurea mediocratas, attorno a un nucleo di militari, non di professori, come adesso, perché allora c’era la guerra delle armi non quella finanziaria dello spread. Le analogie cominciano dal leader, il demiurgo.
Pietro Badoglio rappresentava la continuità con le centrali del potere, che erano, allora nel Piemonte. Non proveniva da Torino, la capitale, ma dalla provincia fedele, il Monferrato. Mario Monti rappresenta la continuità con le centrale del potere ora in Lombardia, ma non viene dalla capitale, cioè Milano, ma dalla provincia fedele di Varese. Badoglio aveva il prestigio del vincitore delle guerre, Monti quello del vincitore nei mercati europei. Entrambi “tecnici” per antonomasia, dotati di esperienza di gestione di apparati apicali. Entrambi, nel loro prestigio, privi di una precisa connotazione politica, fra le parti in commedia (o tragedia). Il generale di Grazzano Monferrato era stato antifascista e fascista, ma era sostanzialmente un generale di alto comando. Il senatore Mario Monti è stato commissario europeo designato da Berlusconi e poi da Prodi, ed è sostanzialmente un professore con vocazione alla alta amministrazione (Commissario europeo, Rettore).
Immagino che il paragone con Badoglio non piaccia a Monti, perché il primo vinse ad Addis Abba nel 1936, ma perse e fuggi l’otto settembre 1943. Tuttavia, va tenuto presente che lo scenario di partenza è diverso. Infatti secondo il CNL (Comitato di Liberazione Nazionale) ,da poco costituito, Badoglio aveva il compito di “tradire”l’alleato europeo e far passare l’Italia dall’altra parte, mentre per altri sponsor della cospirazione liberatrice, doveva portare l’Italia, in area neutrale, come il callido generale preferiva. Invece Mario Monti ha il compito di garantire all’alleato europeo l’adempimento dell’Italia, sin qui parzialmente adempiente. Badoglio doveva far arrestare Mussolini, che aveva sostituito, con la forza, mentre Monti ha bisogno di Berlusconi che si è dimesso per fargli posto.
I governi democratici degli “Alleati” diffidavano del nuovo governo, perché l’Italia guidata da Mussolini era stata sino ad allora nemica della democrazia, mentre l’Italia di Berlusconi era ed è ufficialmente pro mercato, si tratta di farle seguire la rotta ch ha scelto. Quindi Monti, amico come prima di quelli Bruxelles, ove tedeschi e francesi stanno assieme a noi nel club dell’euro dal 1997, non rischia la fine ingloriosa di Badoglio. Tuttavia un po’ di tradimenti, assai meno drammatici, anche Monti ha dovuto farli. A cominciare da quello verso i sindacati che si aspettavano di essere convocare prima della presentazione del decreto alle Camere e da quello nei riguardi dei cattolici moderati, che si son visti ripristinare l’imposta sulla prima casa ed a fatica hanno ottenuto, in sede di emendamenti, uno sconto per le famiglie con figli.
E altri tradimenti il professor Monti ne dovrà fare, a sinistra, se vorrà attuare la liberalizzazione del mercato del lavoro. Però neppur questo basterà, per adempiere alle 6 condizioni perché ancora mancano le politiche di liberalizzazione e privatizzazione e quelle pro crescita. E non si tratta di liberalizzare i taxi o la vendita dei farmaci, ma di cose meno pittoresche e assai più corpose, riguardanti poteri grossi. Ciò che potrebbe accadere a lui, come è capitato a Badoglio è il passaggio dalla fase 1, quella del governo tecnico, durato per Badoglio dal 26 luglio 1943 al 21 aprile 1944, alla fase 2, quella del governo mezzo tecnico e mezzo politico. Il secondo governo Badoglio, durato dal 22 aprile 1944 all’8 giugno 1944, contava ancora generali e funzionari, e Badoglio vi deteneva ancora vari interim, ma il vice presidente del consiglio era Palmiro Togliatti.
Alle finanze c’era Quinto Quintieri del PDL, che però – nonostante la sigla identica – era la il Partito della Democrazia del Lavoro, non il Partito Della Libertà. Ma c’era anche la DC, con un tenace e abile politico siciliano della provincia di Caltanisetta di 54 anni, Salvatore Aldisio, al Ministero degli Interni. Così il II governo Badoglio durò solo 45 giorni. Il primo era durato 9 mesi scarsi. Con il secondo in tutto poco più di 10 mesi. Gli successe un governo con presidenza del PDL, quello di Ivanoe Bonomi.