L’autorità per l’energia elettrica chiede autonomia e ha ragione
25 Ottobre 2010
L’authority ha avuto un ruolo fondamentale nel processo di liberalizzazione del settore e cominciano a essere apprezzabili i risultati conseguiti in termini di aumento della potenza installata, di concorrenza (soprattutto sotto il profilo della contendibilità delle quote di mercato) e di trasparenza a vantaggio dei consumatori, ora liberi di scegliere i propri fornitori e di conoscere le offerte proposte dai diversi venditori di energia elettrica. I progressi compiuti nel campo della regolazione con la liberalizzazione del settore (in particolare il comparto elettrico) hanno in parte compensato l’handicap rappresentato dal mancato supporto che avrebbe potuto dare in questi anni la produzione di energia da fonte nucleare o l’aumento dei costi sostenuti per incentivare le fonti rinnovabili.
Un dato importante riguarda il finanziamento del soggetto regolatore. L’autorità per l’energia elettrica e il gas è tra le poche authority capaci di autofinanziarsi in toto senza abbisogna di finanziamenti a carico delle casse dell’erario. Lo fa applicando una tariffa agli operatori del settore dello 0,3 per mille dei propri ricavi. Un’aliquota ben inferiore a quella che la legge consente di esigere, pari all’1 per mille.
L’autonomia finanziaria poggia quindi sulla capacità di sostentarsi senza nulla chiedere alle casse dello stato. In teoria, a ciò dovrebbe corrispondere il rispetto, l’intangibilità, da parte dell’amministrazione statale, delle risorse raccolte. Solo così un’authority può garantire l’adempimento ai propri compiti istituzionali di vigilanza e regolazione tecnica in assoluta indipendenza, secondo principi di terzietà e trasparenza sanciti anche dall’ordinamento comunitario.
La finanziaria 2010 ha in parte incrinato questo rapporto, prevedendo un trasferimento di fondi dalle autorità più efficienti (in primis l’aeeg) alle autorità con un bilancio in perdita. Ne è conseguito l’obbligo per l’Autorità per l’energia elettrica e il gas di corrispondere 11,9 milioni di euro alle amministrazioni amministrative indipendenti in passivo.
Con la manovra finanziaria, l’autonomia finanziaria dell’autorità subisce un ulteriore arretramento. Il taglio dell’80% alle spese per consulenze tecniche, campagne informative e altre forme di comunicazione pubblica dovrà portare all’erario i risparmi derivanti dalle riduzioni di spesa. Di fatto, si chiede all’autorità di non spendere per le proprie attività i soldi che preleva agli operatori del settore elettrico, ma di darli allo stato. Le economie derivanti dalle misure previste dovrebbero ammontare a circa 9 milioni di euro.
Due emendamenti presentati al disegno di legge sulla semplificazione, all’esame della commissione affari costituzionali del Senato, che recano a prima firma i nomi dei senatori Lauro (Popolo della Libertà) e Bodega (Lega Nord Padania) cercano di venire incontro alle esigenze di autonomia di spesa dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas. Le stesse esigenze che l’autorità ha illustrato mercoledì scorso alla commissione industria. Ciò che chiede non è un’esenzione dai tagli decisi dalla manovra, bensì la libera determinazione delle voci da tagliare. Molte attività affidate dalla legge all’autorità comprendono campagne di informazione e trasparenza per gli utenti che difficilmente potrebbero essere svolte se venissero ridotti i relativi stanziamenti. Da qui la necessità di individuare da sé modi alternativi per liberare le risorse che la finanza pubblica chiede all’Aeeg.
Un compromesso a costo zero, che però ci porta a riflettere sulla natura di alcune misure che da un anno a questa parte colpiscono un’authority tra le più efficienti ed autorevoli per capacità tecniche e indipendenza di giudizio.
L’autorità per l’energia elettrica e il gas, si è detto, non è un apparato burocratico che costa allo stato, una fonte di spreco di risorse pubbliche responsabile della grave situazione del bilancio pubblico. Le misure adottate nei confronti dell’autorità rappresentano, quindi, forme di prelievo a carico di un soggetto che finora è riuscito a svolgere i propri compiti di regolazione tecnica e di vigilanza chiedendo ai propri amministrati meno di quanto la legge gli consenta. Un esempio virtuoso andrebbe imitato, non penalizzato. Imponendo nuove forme di prelievo si mina l’indipendenza dell’autorità, posta così in balia delle esigenze del pubblico erario, e si insinua un grave, ma giustificatissimo, sospetto tra gli operatori del settore: fino a che punto lo stato potrà esigere dall’autorità risorse finanziarie senza che questa non debba aumentare le tariffe applicate alle industrie? Un contributo pari allo 0,3 per mille dei ricavi dei soggetti regolati, sommato alle sanzioni riscosse, sono state finora sufficienti a finanziarie le attività sempre più numerose svolte dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas. Un inasprimento delle misure di prelievo dal bilancio dell’autorità potrebbe da un giorno all’altro comportare un ulteriore inasprimento delle forme di contribuzione a carico degli operatori del settore energetico, già soggetti ad un regime di tassazione gravoso (non si dimentichi che la Robin Tax, istituita nel 2008, è sopravvissuta alla congiuntura che la giustificava in funzione anticiclica).
Di fatto, un’ulteriore stretta sui conti dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas rischia di provocare un aumento della pressione fiscale di cui si renderebbe responsabile senz’altro il Ministero dell’economia e delle finanze. E non è certo un’accusa che Tremonti vorrebbe gli fosse rivolta.