L’autunno caldo dei giovani universitari dura un mese all’anno o poco più

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L’autunno caldo dei giovani universitari dura un mese all’anno o poco più

29 Novembre 2010

L’autunno studentesco è sempre dello scontento. È ormai un rituale quello che viene celebrato dalla “meglio gioventù” nel periodo fra l’equinozio d’autunno ed il solstizio d’inverno. Cadono le foglie, gli studenti sono in piazza e, se riescono, occupano e fanno “autogestione”. Devono protestare, una ragione la trovano sempre, talvolta addirittura reale: l’aumento delle tasse, il numero chiuso, le carenza di servizi, la “privatizzazione”, la didattica poco democratica. Tutto può far brodo, quel brodo di (sotto)cultura che ama inscenare la sempre più sbiadita parodia della Comune di Parigi o del fatidico Sessantotto.

Quando poi il casus belli della protesta assume le fattezze della terrificante Riforma, la lotta si fa più dura ed urgente. Non importa quali ne siano gli scopi e i mezzi per attuarla, la Riforma è sempre il nemico, sempre il Mostro da abbattere. Poiché negli ultimi anni praticamente tutti i ministri dell’Istruzione e dell’Università hanno cercato di mettere un po’ di ordine nel settore, spesso contraddicendosi, gli studenti in rivolta hanno potuto figurarsi puntualmente il peggior nemico da fronteggiare. Se poi la Riforma è quella proposta da un governo di centrodestra, anzi dal governo del dittatore Berlusconi, per giunta presentata da una ministra che pare una supplente rompipalle, la lotta, oltre ad essere urgente, è anche  divertente. Il giocare alla Rivoluzione ha infatti l’aspetto serio dell’impegno civile, della legittima preoccupazione per il proprio futuro, ma soprattutto quello più frivolo della festa, della sospensione del grigiore quotidiano.

Come non comprendere i giovani scontenti e divertiti che bloccano il traffico, occupano scuole e monumenti e sfasciano qualche vetrina per imitare i video di You Tube su Seattle ’99 e Genova 2001 o filmati di archivio più stagionati? A vent’anni, o poco più o poco meno, è bello far penzolare gli striscioni, urlare gli slogan in faccia ai celerini ed ai passanti che fanno finta di niente (maledetti borghesi!). E’ bello trasformare le aule da antri di tortura nozionistica in discoteche o centri sociali dove poter fumare una canna in pace. Più bello ancora riuscire a mettere il sacco a pelo per la notte accanto a quello della bella fanciulla vista all’assemblea.

Anche l’essere in pochi, una sparuta minoranza rispetto alla stragrande maggioranza degli studenti non coinvolta dalle manifestazioni, dà un piacere sottile. Ci si sente ancor più avanguardia leninista, élite illuminata che indica la via da seguire ai compagni di studio qualunquisti, ignari dei danni irreversibili che la Riforma ha in serbo per loro, oppure pavidi che preferiscono non far innervosire genitori, docenti ed autorità (insomma, il Potere con la P maiuscola).

Lo stesso apparire sui telegiornali, fra Obama e l’Inter, mentre si sfila per le strade o ci si stende sui binari di una stazione o si finisce proiettati sulla Mole Antonelliana con la complicità di Gianni Amelio è molto lusinghiero. È il quarto d’ora di celebrità che ormai la società dello spettacolo non può negare a nessuno. L’autunno dello scontento è una stagione di gloria, che forse sarà ricordata tutta la vita e rievocata durante le cene di classe dei reduci quarantenni. Una rivolta stagionale, una rivoluzione effimera con tutto il sapore della gioventù che passa e non tornerà.

Perché si sa che tutti gli spasmi di rivolta si estingueranno appunto con il solstizio d’inverno, quando arriverà Natale. Diventerà più urgente organizzare il cenone e lo sballo di Capodanno. Poi sarà tempo di esami o scrutini e non si potrà fare a meno di tenere la testa sui libri per non rimediare brutti voti. Lo stesso clima troppo freddo non invoglierà certo a manifestare in piazza. E quando tornerà la primavera sbocceranno nuovi amori. Ci si rivede al prossimo autunno. E speriamo ci sia anche la Riforma.

A meno che non sbuchi un altro mostro: la Repressione. Se la risposta del governo, delle forze dell’ordine, delle autorità scolastiche (ovvero, del Potere) fosse quella della Repressione dura con sgomberi, cariche delle celere, sospensioni, lo scontento studentesco potrebbe protrarsi per qualche mese. Il piacere del sentirsi pericolosi fuorilegge darebbe altro carburante.  È proprio quello che vogliono e pianificano le avanguardie delle avanguardie studentesche: gli emissari dei centri sociali nei collettivi delle scuole medie e negli atenei, gli ultimi epigoni della tradizione insurrezionale dell’Autonomia Operaia. 

La loro tattica è la stessa da decenni, come illustrata dai testi di Toni Negri: se lo scontento non esiste, occorre fomentarlo, organizzarlo, anche diffondendo menzogne o mezze verità (dicesi controinformazione). E dopo aver evocato la rivolta occorre cavalcarla finché possibile, sperando appunto nella Repressione che garantisce rabbia fresca fresca. Lo scopo? Guadagnare militanti. In mezzo alle centinaia di scontenti che affollano le rumorose assemblee ci sarà forse qualcuno che deciderà di avvicinarsi al centro sociale e potrà dare il suo contributo nei volantinaggi, nelle serate di autofinanziamento, nella costruzione della “democrazia dal basso”. Se poi si tratta di giovani arditi e muscolosi, saranno utili come carne da manganello da gettare contro la polizia per poi denunciare la Repressione.

E pensare che le manovre architettate dai vertici di quello che rimane dell’Autonomia Operaia sono quasi più oneste se paragonate a quelle di altri politici di professione, rappresentanti delle istituzioni in Parlamento.     Li abbiamo visti nei giorni scorsi arrampicarsi sui tetti dell’ateneo romano, spronati dal cantautore Antonello Venditti (del quale ignoravamo la virtù di farsi ubbidire prontamente dai politici). Il primo è stato Pierluigi Bersani che forse farebbe meglio ad impiegare le sue energie per presentare uno straccio di riforma alternativa ed articolata (a proposito, che ne è del “governo ombra” varato da Veltroni nel 2008, con Maria Pia Garavaglia a far le veci dell’anti-Gelmini?).

Poi è spuntato Di Pietro che farebbe meglio a preoccuparsi della mancanza di democrazia interna nel suo partito-azienda e del rischio di infiltrazioni camorristiche. Ed ecco Vendola, che sta trascurando un po’ il suo incarico di governatore della Puglia, dato che lo si avvista di più a Milano con Pisapia, in California con Schwarzenegger e sui tetti di Roma. Non mancava Paolo Ferrero, ultimo segretario dell’ultimo dei partiti comunisti d’Italia.

Ma la sorpresa più grande è stata quella di trovarci dei finiani sul tetto con Venditti, dei parlamentari di Futuro e Libertà, la “terza gamba” della coalizione di governo che sostiene, o dovrebbe sostenere il Ministro Gelmini e non la sua Riforma (giacché non vi è alcuna riforma dell’Università) ma il decreto legge che aspetta il voto delle due Camere. Invece erano sul tetto Flavia Perina, Benedetto Della Vedova, Chiara Moroni e Fabio Granata. Tutti insieme appassionatamente, nonostante le differenze fra chi proviene dalle file della destra sociale e spiritualista (come gli ex rautiani Perina e Granata) e chi, come l’onorevole Della Vedova, ha un passato nel Partito Radicale ed ha sempre fatto professione di convinto liberismo.

Contraddizioni a iosa e grande confusione sotto il cielo e sopra il tetto, dunque. Anche perché i finiani hanno dichiarato di aver partecipato all’impresa non per contestare ma per “migliorare” il decreto legge (che infatti voteranno, come ha dichiarato Fini). Ma la realtà appare ben altra; Futuro e Libertà ha voluto informare tutto il paese del fatto che anche loro sono all’opposizione, almeno simbolicamente, come minimo al cospetto dei fotografi. Cosa ancora più grave se si considera la gravità del momento. Lo stesso problema del precariato meriterebbe proposte legge serie ed efficaci, non certo iniziative spettacolari sulle tegole della Capitale.       

In conclusione, siamo costretti a dar ragione alla Gelmini: il disegno legge non è certo la panacea per tutti i mali dell’Università, ma un piccolo passo per cominciare a scalfire un vero mostro burocratico e nepotista. Gli studenti stanno in effetti protestando contro i loro interessi e in difesa delle baronie accademiche; dovrebbero invece diffidare dei politici dei centri sociali e dei partiti e cercare di pensare con la loro testa (o almeno provarci).

Ovvio che l’appello del Ministro cadrà nel vuoto; fino a Natale sarà bello giocare alla Rivoluzione combattendo la Riforma. E allora, se proprio ci tengono, facciano i rivoluzionari per una stagione. Ma almeno tengano presente ciò che disse lo scrittore tedesco Ernst Jünger: ogni vero gentiluomo è rivoluzionario in gioventù e conservatore nella maturità. Nella speranza che fra di loro sboccino più gentiluomini di quanti sono i politici sui tetti.