L’autunno caldo non fermerà le riforme di Sarkozy
16 Novembre 2007
Sei mesi di Presidenza e
il primo autunno caldo. La
Francia irriformabile e ferocemente gelosa del suo «modello
sociale» è pronta allo scontro e alla paralisi ad oltranza? Sullo sfondo di un
Paese dove pessimismo e sfiducia non sono di certo rientrati come per magia
dopo la salita all’Eliseo di Sarkozy, l’ondata di scioperi del settore dei
trasporti (in particolare metropolitane, autobus e treni) cela in realtà
un’interessante evoluzione dei rapporti politico-sociali, non scevra di stimoli
anche per il panorama italiano.
Un deputato dell’Ump ama
ripetere in questi giorni che «Sarkozy con i ferrovieri assomiglia più alla Thatcher
con i suoi minatori, che a Chirac alle prese con lo sciopero generale del
1995». Infatti preso atto delle notevoli differenze costitutive tra il caso
inglese degli anni Ottanta e quello transalpino dell’inizio del XXI secolo, non
possono essere taciute le abissali diversità con la massiccia protesta sociale
che nel 1995 ha
stroncato sul nascere ogni velleità di riforma del primo settennato di Chirac.
L’ondata di scioperi del
1995 seguiva la riforma pensionistica del settore privato del 1993, operata dal
governo Balladur. Di fronte alle nuove proposte del governo Juppé di equiparare
settore pubblico e settore privato (operazione poi riuscita a Raffarin nel 2003)
i sindacati ebbero buon gioco nel rilanciare la lotta per bloccare a 37 anni e
mezzo la soglia di contribuzione anche per il settore privato. La massiccia
adesione agli scioperi del 1995 fu in gran parte dovuta alla scelta operata
dall’allora governo di centro-destra di andare allo scontro frontale finendo
così per saldare fronte privato e fronte pubblico e in generale un sindacato
per nulla omogeneo al suo interno.
Sarkozy sembra aver
studiato con attenzione il caso 1995 ed agire di conseguenza. La sua scommessa
è certamente fondata su una parte di rischio, ma in realtà si tratta di un
rischio calcolato. La riforma delle pensioni che vuole uniformare i regimi
speciali (lavoratori dei trasporti pubblici e del comparto energetico, in
particolare Edf-Gdf) è sostenuta dalla grande maggioranza dell’opinione
pubblica in ragione di un criterio di equità. Per quale motivo, di fronte ai
sacrifici della classe lavoratrice nella sua interezza, una minoranza
privilegiata di poco più di 500.000 cittadini dovrebbe godere di un privilegio
che tra le altre cose permette di andare in pensione con 37 anni e mezzo di
contributi? Proprio l’aver posto l’attenzione sul tema dell’equità ha
contribuito ad aumentare la diffusa convinzione che quella in atto sia
un’agitazione sociale corporativa e settoriale.
Da un lato dunque la
carta dell’equità e dall’altro la possibilità di Sarkozy di giocare quella
della debolezza del sindacato francese.
Dal punto di vista
generale i sindacati transalpini vivono una crisi profonda per lo meno
dall’inizio degli anni Ottanta e il livello complessivo di sindacalizzazione è
sceso oramai all’8,5%. All’interno dei settori interessati alla riforma dei
regimi speciali, non bisogna però dimenticare che il livello di sindacalizzazione
resta molto alto. La riforma proposta dal Presidente ha però buon gioco
nell’esaltare le contraddizioni e le spaccature interne al blocco sindacale,
per nulla monolitico. Da un lato si trovano infatti le moderate CFDT e ciò che
resta del sindacato cattolico CFTC (con l’aggiunta del sindacato quadri CGE),
pronte al dialogo e alla mediazione come lo sono già state anche nel recente
passato. Dall’altra la comunista SUD-RAIL (sindacato di settore delle ferrovie)
e l’inclassificabile Force Ouvrière, che mescola pulsioni massimaliste ad
aperture riformiste. In mezzo la potente CGT (corrispettivo italiano della
CGIL), guidata dal suo segretario generale Thibault, alla testa della potente
sezione ferrovie nello sciopero generale del 1995.
Ebbene Thibault, nel chiedere
un colloquio con il Ministro del Lavoro Bertrand e accettando l’avvio di
negoziati settore per settore, dunque rinunciando al negoziato collettivo, ha
compiuto un gesto storico per la storia delle relazioni sindacali transalpine e
soprattutto ha confermato che la sfida lanciata da Sarkozy è potenzialmente
vincente. Thibault, che ha già perso la roccaforte CGT della metallurgia, non
può permettersi un’ulteriore sconfitta nel comparto trasporti. Inoltre egli è
consapevole che una radicalizzazione e un conseguente prolungamento dello
sciopero rischierebbe di incidere in maniera irreversibile sulle contraddizioni
interne al movimento sindacale. La riforma dei regimi speciali è scritta
nell’evoluzione del mondo del lavoro e nella necessaria riforma del sistema di
welfare. Meglio a questo punto uscirne in maniera meno traumatica possibile. In
secondo luogo la CGT
non può permettersi di tirare troppo la corda nei confronti di quegli iscritti
del settore privato che considerano la vertenza sui regimi speciali una
battaglia di retroguardia e soprattutto subiscono in prima persona i disagi del
blocco del settore trasporti. Infine il segretario della CGT ha compreso che se
vi dovrà essere una «battaglia d’autunno» dovrà essere condotta sull’erosione del
potere d’acquisto e in generale sui necessari salariali. Su questo punto
l’opinione pubblica sembra pronta alla critica nei confronti del nuovo
inquilino dell’Eliseo, che per altro nel corso della campagna elettorale si è
presentato come il «Presidente dell’aumento del potere d’acquisto».
Dunque la scommessa di
Sarkozy sembra al momento vincente: proseguire nelle riforme giocando sulle
contraddizioni interne al movimento sindacale e, da non dimenticare, sfruttando
l’apatia e gli equilibrismi dell’afasico Partito socialista. Come acutamente
ricordato dall’ex Primo ministro Rocard proprio il Ps potrebbe uscire a pezzi
da questa fase, incapace di proporre alternative realistiche alle riforme
presidenziali e tentato dal richiamo della piazza.
Nonostante le debolezze
dei suoi competitors, Sarkozy sui regimi speciali si gioca gran parte del suo
futuro e comunque la partita non è ancora chiusa e non mancheranno altre
giornate di sciopero. In una fase di fisiologico calo della popolarità (ma il
sostegno è ancora molto superiore al 50%) la riforma dei regimi speciali è anche
simbolicamente fondamentale. Un successo sarebbe la dimostrazione che il
volontarismo politico è ancora in grado di agire per riadattare sistemi di welfare che, di fronte all’aumento delle
aspettative di vita e alla sfida economica globale, rischiano altrimenti di
implodere. A livello più generale l’immagine sarebbe quella di una Francia in
grado di riformarsi e non costantemente in preda allo scontro sociale e al
blocco sistematico. Se anche Parigi dovesse riuscire nelle sue riforme, la
solitudine del nostro Paese risulterebbe ancora più evidente.