Le 5 Stelle cadenti e il fallimento del pensiero liquido (di G. Quagliariello)

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Le 5 Stelle cadenti e il fallimento del pensiero liquido (di G. Quagliariello)

27 Giugno 2021

A costo di correre il rischio di apparire ripetitivi, avevamo più volte sostenuto che le conseguenze della pandemia avrebbero stravolto anche la politica e la vita dei partiti. Se infatti cambia la realtà intorno a noi, al mutare delle domande devono adeguarsi anche le risposte.

Diciamoci la verità, il pronostico era piuttosto facile. Eppure gran parte degli attori sul proscenio hanno cercato in tutti i modi di nascondere la polvere sotto il tappeto, affidandosi il più delle volte al mero maquillage. Ma al dunque la realtà è testarda e i processi storici prevalgono sul tentativo di imbrigliarli attraverso lo sforzo gattopardesco (nel senso letterario dell’espressione) di cambiare tutto perché nulla cambi.

La forza inesorabile della realtà è dimostrata innanzi tutto da ciò che sta accadendo nel Movimento 5 Stelle. Nel gran teatro della politica italiana per un attimo era sembrato quasi possibile che il partito nato da un “vaffa” come metafora dell’approccio alla soluzione di problemi complessi, semplicemente pescando una figura come quella dell’avvocato Conte, potesse trasformarsi in un partito di governo permanente, addirittura moderato e centrista. Nella prima parte di questa strana legislatura la metamorfosi era apparsa quasi grottesca: da movimento di opposizione permanente a blocco parlamentare alleato di chiunque senza soluzione di continuità pur di restare in maggioranza.

Le vicende di questi giorni restituiscono in qualche modo alla politica ciò che le appartiene. Gli esiti finali della deflagrazione pentastellata ancora non possono essere previsti ma ciò che è fin qui accaduto – il Grillo furioso, il visConte dimezzato, le dissidenze sparse in attesa degli eventi, i ministeriali dietro le quinte, il ruolo delle corazzate editoriali a supporto… – chiarisce già al di là di ogni ragionevole dubbio che la politica non è un gioco di travestimento. Non è come la legge Zan, per la quale ogni mattina ti alzi e decidi cosa ti senti di essere pretendendo che la realtà si adegui alla tua autopercezione…

Comunque vada a finire la parabola delle stelle cadenti, dovesse pure la “trivaricazione” fra Grillo, Conte e “ortodossi” ricomporsi, in ogni caso non sarà una bella fine.

Questa dinamica si porta inevitabilmente appresso la trasformazione in atto del Pd, il cui nuovo corso aveva scommesso tutto sulla mutazione genetica del M5S e sulla conseguente necessità di impedire la nascita di una nuova forza antisistema che drenasse consensi sul versante sinistro. A voler essere buoni, in alcune prese di posizione di Enrico Letta così distanti dalla sua storia si potrebbe scorgere il tentativo di cementare l’asse con il “nuovo” Movimento coprendosi il fianco a sinistra per impedire la nascita di dissidenze, ma sarebbe una lettura del tutto politologica. La verità è che, anche in questo caso, la realtà è più forte dell’ortopedia con la quale si cerca di plasmarla. E l’esperimento della costruzione di un “nuovo Ulivo” a tavolino, quasi fosse una questione di ingegneria istituzionale, sembra essere già fallito.

A ben vedere, però, nonostante il vento in poppa alimentato dagli errori degli avversari, qualche eccesso di situazionismo si registra anche sull’altro fronte. Lo testimonia la proposta di un nuovo contenitore sul modello del Partito Repubblicano americano – proposta che da queste parti avevamo avanzato in tempi non sospetti, purché di quel modello non avesse soltanto il nome… – avanzata senza delineare credibilmente una coerente piattaforma statuale, come se il glorioso “Grand Old Party” non fosse un partito di coalizione che può proliferare soltanto nel contesto istituzionale di cui ha bisogno.

Insomma: la proposta “repubblicana” di cui in questi giorni si dibatte suona senz’altro come una novità ma risponde a sua volta a esigenze solo contingenti e a un pensiero fondamentalmente debole. Risponde, cioè, all’esigenza di Silvio Berlusconi di garantire a Forza Italia – o quantomeno a un suo piccolo segmento – quella sopravvivenza che non ha voluto assicurare aprendo il partito e proiettandolo verso il futuro. Tale prospettiva suscita un comprensibile interesse da parte di Matteo Salvini il quale, con l’occupazione organica dello spazio sovranista da parte di Fratelli d’Italia, ha bisogno di trovare una collocazione differente. Epperò, almeno finora, non sembra intenzionato a trovarla facendo realmente i conti con il proprio percorso degli ultimi anni, ma soltanto procedendo per innesti.

Il fallimento del pensiero debole – in alcuni casi addirittura del pensiero assente – in ogni latitudine della geografia politica contribuisce anche a spiegare il successo che le rilevazioni attribuiscono a Giorgia Meloni, da cui si può dissentire ma alla quale non si può non riconoscere di aver tenuto una linea coerente e continuato a proporre un pensiero organico piuttosto che soluzioni contingenti.

Certo, resta poi da capire se questo pensiero, per quanto forte, sia adeguato alla situazione che stiamo attraversando. Essa richiederebbe infatti un vero “new deal”: la costruzione di qualcosa di nuovo che tenga conto dei cambiamenti e sappia governarli e che, allo stesso tempo, abbia delle radici, delle tradizioni di riferimento, una solidità strutturale. Insomma, che non lasci spazio all’improvvisazione. Un identikit nel quale, fino ad oggi, sembra riconoscersi più Mario Draghi che gli attuali partiti. Nel prossimo futuro si vedrà se questa esperienza governativa saprà contagiarli.