Le adozioni gay, il politicamente corretto e quel pronunciamento a Sezioni unite della Cassazione che non arriva
21 Gennaio 2017
di Carlo Mascio
Della serie quando la volontà di non allinearsi al politicamente corretto ti spinge ad andare in pensione. In una battuta, potrebbe essere riassunta così la storia di Fabrizio Forte, già magistrato della Corte di Cassazione, che, quasi un anno fa, sceglie, appunto, la pensione, dopo aver appreso che il presidente della suprema corte ha deciso di assegnare la presidenza della prima sezione a un collega dello stesso Forte che, in graduatoria, risultava ben 75 posti dopo il magistrato. Quest’ultimo, per merito, titoli e anzianità era il candidato numero uno alla presidenza della prima sezione. Ma le cose vanno diversamente. Perché?
“Quando gliene ho chiesto ragione – spiega Forte riferendosi a Canzio, in un’intervista rilasciata nei giorni scorsi a La Verità, il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro – mi ha invitato a fare domanda per un’altra sezione. Una risposta che non ho compreso: non capisco perché non dovevo ambire alla presidenza della prima sezione, che era la mia. Non vorrei – ha continuato l’ex magistrato – che la decisione avesse a che fare con il fatto che sono fratello dell’arcivescovo di Chieti, Bruno Forte”. Dubbio fondato se si pensa che la prima sezione della Corte di Cassazione, tra le sue competenze, ha anche il compito di valutare le sentenze dei tribunali minorili. Dunque non una sezione qualsiasi, tanto più che la legge sulle unioni civili, per una volontà puramente politica, con lo stralcio della cosiddetta “stepchild adoption” ha demandato ai tribunali il potere di decidere sulle adozioni gay.
Fabrizio Forte, racconta la Verità, è stato sempre un giudice lontano dal teatrino mediatico-giudiziario, che ha preferito parlare con le sentenze piuttosto che sui giornali o in qualche talk show. Ma come abbiamo detto ha il ‘brutto vizio’ di dire quello che pensa, spiegando le contraddizioni di una norma che non c’è (sulla stepchild) ma viene applicata a colpi di sentenze dai tribunali, dando il via libera alle adozioni da parte delle coppie dello stesso sesso e legittimando, in un modo o nell’altro, la pratica dell’utero in affitto, vietata in Italia dalla legge 40. Eppure non c’è un “vuoto legislativo” da colmare in materia. La legislazione su famiglie e adozioni esiste già ed è chiara, anche se i giudici tentano in ogni modo di allargarne l’interpretazione per favorire la stepchild. Ma c’è una cosa che servirebbe, per dirimere gli inevitabili pronunciamenti discordanti dei giudici in materia di adozioni ed evitare il caos legislativo generato dallo stralcio-non stralcio della stepchild: un pronunciamento delle sezioni unite della Corte di Cassazione.
“Perché il pronunciamento a sezioni unite non arriva?,” si chiede Carlo Giovanardi, parlando con l’Occidentale, “è un pronunciamento che, sebbene sia stato più volte invocato, non è arrivato, né si profila all’orizzonte”. Che ne pensa di questo il presidente della repubblica Mattarella? Insomma serve fare chiarezza, se no, ripensando a com’è andata la vicenda del giudice Forte, sarà lecito pensare che la magistratura, ai suoi massimi livelli, non è tanto presidio di legalità e di rispetto della legge, ma luogo dove si valuta come e quando mettere in pratica la classica ricetta del “due pesi e due misure”, a discapito di chi non si piega al pensiero unico.