Le aperture di Pyongyang? Per i sudcoreani è merito di Trump (ma non ditelo ai giornaloni)

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Le aperture di Pyongyang? Per i sudcoreani è merito di Trump (ma non ditelo ai giornaloni)

19 Gennaio 2018

I sudcoreani ringraziano Trump per aver costretto Pyongyang a inedite aperture. Tutti i sudcoreani? Tranne quelli intervistati da Repubblica. “President Moon Jae-in of South Korea warned on Wednesday that North Korea would face stiffer sanctions if it resumed weapons tests, while crediting President Trump with helping force the North to resume dialogue and strike a  broader agreement to improve Korean ties. “I am giving a lot of credit to President Trump” Mr. Moon said at a nationally televised news conference a day after the two Koreas forged their agreement during border talks.“I am expressing my gratitude”. Choe Sang-hun scrive sul New York Times del 10 gennaio che il presidente sudcoreano Moon Jae-in, pur politico che si era distanziato dalle posizioni filo Usa dei precedenti partiti al governo in Seul, ha ringraziato in tv Trump per aver messo in riga i nordcoreani e aver creato lo spazio per una distensione. Così dichiara un politico pur lontano da Washington, ma Pietro del Re sulla Repubblica dell’11 gennaio, riesce a trovare una serie di intellettuali in Corea del Sud che dicono: “Sono piuttosto le velleità guerrafondaie manifestate dal presidente americano a renderlo inviso ai coreani, quantomeno a quelli più colti, che a volte sono anche i più consapevoli, come dimostrano le testimonianze che abbiamo raccolto nel campus dell’elegante università di Seul”.

Fake neutrality. “Non spetta a me esprimermi, me ne guardo bene, spetterà al popolo italiano, però…” dice Emmanuel Macron al Corriere della Sera del 12 gennaio.

Tramonto a Occidente. “Dobbiamo chiederci se l’appeasement di oggi – non più dovuto ai pericoli della Guerra Fredda ma a interessi assai prosaici – non torni a spingere le democrazie nel vicolo cieco della trappola dei dittatori. Il cui unico intento è dimostrare la caducità degli ideali di libertà di cui i Paesi occidentali, pur con tutte le loro contraddizioni e debolezze, sono portatori”. Così scrive Maurizio Molinari su La Stampa del 14 gennaio. Nel primo caso, immediata, vibrante e solenne condanna di Trump. Nel secondo caso, solo qualche farfugliamento” Angelo Panebianco scrive simmetricamente sul Corriere della Sera sempre del 14 gennaio che l’Unione europea dà addosso a Donald Trump quando questi riconosce Gerusalemme capitale d’Israele e poi farfuglia sulla feroce repressione in atto in Iran. Dal punto di vista dei principi le posizioni dei Molinari e Panebianco sono perfette. Ma nell’analisi c’è un limite. Il mondo non si trova come nella Guerra fredda diviso in due blocchi, uno dei quali socialista- totalitario, mentre l’altro, pur con consistenti eccezioni (dalla Spagna all’Argentina, dal Cile al Vietnam e così via), liberaldemocratico, bensì in una fase di disordine che ricorda i periodi storici che prepararono esiti catastrofici. Non si tratta dunque di affermare solo, come è pur necessario, le superiorità morali  dei sistemi liberaldemocratici ma di costruire nuovi equilibri. In questo senso il flirtare commerciale di francesi e tedeschi con cinesi o iraniani, cercando di isolare gli Stati Uniti, è grave non solo perché tradisce principi liberaldemocratici, ma anche perché apre la porta al caos, a quella sciocchezza della ricerca di un assetto multilapolare che non sarà mai in grado sostenere reali  alleanze e istituzioni, e quindi di diventare base per più o meno ordinati equilibri globali. Ian Bremmer sul Corriere della Sera del 15 gennaio con qualche compiacimento osserva come “la Cina oggi è in grado di stabilire regole internazionali in un clima di minor resistenza rispetto al passato”. Ma queste regole non solo hanno una logica puramente mercantile, insieme neutra se non ostile alla crescita di Stati di diritto, come denunciano La Stampa e Il Corriere, ma anche non determinano veri equilibri. Panebianco afferma che parte della situazione attuale deriva da colpe di Trump, il che per qualche verso è vero. Ma l’attuale presidente degli Stati Uniti ha anche l’enorme merito di aver detto che “il re” (cioè l’equilibrio internazionale) è nudo. E solo da qui si può ricominciare.

Ecce Renzi. “Ho incontrato De Benedetti come tante altre persone” dice Matteo Renzi alla Repubblica dell’11 gennaio. Il gigante politico di Rignano si (morettianamente) comporta così: gira, vede gente, si muove, conosce, fa delle cose.