Le due destre allo specchio (riflesso) – di G.Quagliariello

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Le due destre allo specchio (riflesso) – di G.Quagliariello

02 Maggio 2021

Per analizzare la politica italiana servirebbe il lettino di Freud. La psicanalisi è senz’altro più adatta delle categorie tradizionali per comprenderne le evoluzioni e le involuzioni.

Partiamo dallo stato dell’arte. Ci troviamo con un governo di unità nazionale che dopo un inizio faticoso sta riportando buoni risultati su diversi dei fronti più importanti legati alla pandemia e alle sue conseguenze: i numeri della campagna vaccinale; il fatto che nonostante le varianti di ogni genere e provenienza la curva dei ricoveri, delle terapie intensive e dei decessi inizi a stabilizzarsi in senso discendente; il Recovery Plan presentato in tempo utile con la prospettiva che la prima tranche dei finanziamenti arrivi presto. Infine, l’apertura di una stagione di riforme – quelle annunciate dal presidente Draghi – sulle quali ci si gioca molto e che riguarda tanto il nostro futuro quanto il rapporto con l’Europa.

Di fronte a queste evidenze, come si comportano i contraenti di questa strana maggioranza? Da una parte e dall’altra, sembra che in qualche modo si voglia eludere la necessità di fare i conti con la realtà, che pure nei suoi termini è chiarissima.

A sinistra il sentimento dominante lo si potrebbe definire “la grande nostalgia”. Lo sguardo è rivolto più al passato, a una sorta di Eden perduto (il governo Conte), che al presente, quasi che quel ricordo possa far dimenticare la terribile realtà di stare al governo assieme alla Lega. E, in subordine alla prospettiva di un ritorno al passato, c’è la voglia matta di gettare fuori strada Salvini, facendo venir meno la grande anomalia e cercando di avvicinare il più possibile l’attuale esecutivo a quello precedente.

A destra, il mood prevalente sembra essere il dispetto continuo e prolungato tra Fratelli d’Italia e Lega: due formazioni che hanno compiuto scelte diverse rispetto al governo Draghi ma che dovrebbero poi presentarsi in coalizione in elezioni importanti ormai alle porte. Così FdI cerca quotidianamente di dimostrare che la scelta governativa degli alleati sia stata un errore, e la Lega ha il bisogno di dar prova che gli obbiettivi comuni possano essere più facilmente raggiungibili stando dentro che non stando fuori.

Sicché Draghi si trova a fare i conti non solo con le difficoltà della situazione generale, ma anche con le turbe psicologiche della gran parte dei soggetti che si muovono sulla scena politica.

Di fronte a tutto ciò, viene da chiedersi se possa nascere qualcosa di autonomo e di più aderente alla realtà rispetto agli schieramenti tradizionali. Noi non sappiamo se questa sia una prospettiva auspicabile ma, nonostante tutto, sembra una prospettiva difficile. E questo per due ragioni.

Innanzi tutto, non c’è una legge elettorale che agevoli questo scenario, e neanche si profila all’orizzonte. Al contrario, il neo segretario del Pd Enrico Letta vorrebbe rendere ancora più maggioritario il meccanismo attraverso il quale si distribuiranno i seggi alle prossime elezioni, e questo è l’unico terreno sul quale si è registrata qualche accondiscendenza, se non proprio una posizione di favore, da parte della Lega. In secondo luogo, perché nasca qualcosa di autonomo c’è bisogno comunque di un leader in grado di aggregare. Di unire. Non è condizione sufficiente ma certamente è necessaria. E invece, al di fuori degli ambiti già consolidati della politica, ci sono sulla scena certamente almeno uno o più personaggi che dividono.

All’interno di questo scenario, che sembra piuttosto immobile e ancorato a rituali ripetitivi e un po’ stanchi, sul finire della settimana Matteo Salvini ha introdotto un elemento di novità: ha annunciato un vertice che dovrebbe suscitare un confronto e mettere insieme in qualche modo le diverse formazioni di centrodestra che sostengono il governo. Oltre la Lega ci sono Forza Italia, Cambiamo, Noi con l’Italia e l’Udc.

Si tratta di una iniziativa suscettibile di differenti interpretazioni. Può essere intesa come un dispetto alla Meloni, da inscriversi nel solco di quelli da lei praticati attraverso la mozione di sfiducia a Speranza e quella sul coprifuoco, cui si contrappone la incomprensibile scelta di non cedere a un alleato – nonostante il testo della legge sia chiarissimo – la presidenza del Copasir. Se davvero si trattasse della nuova puntata di un gioco a “specchio riflesso”, sarebbe una mossa spericolata. Tante volte, infatti, in passato le coalizioni hanno retto a una differente collocazione governativa dei partiti che le compongono, sia a destra che a sinistra, ma c’è un limite che non deve essere superato. E comunque, per preservare la possibilità di stare insieme senza essere percepiti come un ircocervo, serve un po’ di manutenzione.

In alternativa, l’annuncio di Salvini può essere letto nel senso della costituzione di un fronte interno al governo di unità nazionale, per rendere più evidente l’identità di un blocco contrapposto alla sinistra. In questo caso si indebolirebbe la specificità del governo Draghi e, forse, si finirebbe col fare un favore a chi a sinistra ritiene che il compito straordinario di questo esecutivo debba scemare insieme al diminuire dell’impatto della pandemia, come se oltre a quella sanitaria non ci fosse da affrontare anche una emergenza economica. Insomma, se fosse questo il fine dell’iniziativa del leader della Lega, non dispiacerebbe a quanti in campo avversario cercano di mettere bastoni fra le ruote e imporre caveat a Draghi e soprattutto alla sua mission di unità nazionale.

Infine, la mossa salviniana potrebbe essere un modo per mettere ordine fra le due destre: con diverse modalità e altri soggetti, creare qualcosa che si inscriva nel solco di quella esperienza rinnegata (ma mai abbastanza rimpianta) che va sotto il nome del Popolo della Libertà. Nel senso non di creare un partito unico, ma di dare assetto ordinato a un pensiero e a un’azione di destra più o meno liberale e creare un ponte verso quella destra che è più legata a principi nazionali.

Se è questa la direzione, servirebbe praticare molta revisione attiva (per farlo non c’è bisogno di dirlo), soprattutto nei confronti dell’Europa, e oltre che sui terreni della tattica bisognerebbe soffermarsi anche su quelli delle idee. Non sarebbe una strada facile né scontata, ma a noi sembra che sarebbe forse l’unica praticabile per dare l’idea di un centrodestra in grado di confrontarsi con alcune scadenze importanti: quella dell’elezione del Presidente della Repubblica, giungendo al risultato di avere un garante che non provenga dalla file dello schieramento avverso; quella di una possibile candidatura comune al governo del Paese; soprattutto, quella di una prospettiva di governo che si collochi oltre i giorni di una eventuale vittoria elettorale.

Se è questo il traguardo al quale puntare, bisognerà fare in modo che sia quest’ultima la strategia che prevalga e, nel caso, parteciparvi attivamente. Perché è una strada più naturale e preferibile rispetto alla prospettiva di guardare altrove.