Le elezioni americane rilanciano le leadership “anziane”
26 Dicembre 2020
Nelle complesse relazioni della mitologia greca poche cose appaiono chiare come quella del “potere”. In tale sistema mitologico Zeus ha potere sulle intere deità maggiori e minori che tutte debbono prestargli obbedienza in una con i mortali. Ma anche il sommo Zeus deve obbedire ad “ananche”, la necessità, vero decisore di ultima istanza. E, all’attualità, ogni argomentazione di tipo politico-economico che l’opposizione (tutta) di centrodestra si trova ad elaborare non può sottrarsi al confronto con “ananche”: la necessità.
Tale confronto muta le pur giuste gerarchie di partito e di consenso nell’ottica di una ottimizzazione della strategia finalizzata alla vittoria e non all’ottimo risultato perdente. Lo spunto per un ragionamento tra legittime ambizioni dei leader del centrodestra e necessità è dato da una recente intervista del ministro Dario Franceschini il quale ha sostenuto la “valorialità” di Giuseppe Conte anche, e soprattutto, quale leader del centrosinistra (sintesi delle due forze del PD e dei 5 Stelle con aggiunta degli altri cespugli) per le prossime elezioni.
E’ una indicazione rilevante, in quanto non è la dichiarazione tesa a pontellare un presidente traballante per cercare di condurre la legislatura al suo termine naturale. E’ l’indizio di una strategia che è meglio non sottovalutare.
Il non detto di Dario Franceschini si riassume nell’utilizzo strumentale di due argomenti: il primo, costituito dal basso tasso di competenza istituzionale del ceto politico di centrodestra contrapposto, e lo dico senza ironia, alla formazione tecnico-professorale del premier Conte; il secondo che tiene conto delle pregiudiziali antifascista e populista (unificate nel sovranismo ideologicamente orientato) declinate in salsa pregiudizialmente antieuropea e anti-istituzionale.
All’interno della coalizione di centrodestra ci si può raccontare qualunque cosa e farsi forza dei sondaggi che premiano in ordine decrescente Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia: a seguire le altre formazioni minori. Proprio su tali sondaggi si basa il ragionamento di Franceschini, e cioè che la candidatura a premier dovrà essere stabilita sulla base della quantità di consenso (o moneta) elettorale. Con il che, secondo lo schema Franceschini, il centrodestra verrebbe ad essere dominato da leader non solo in feroce competizione tra di loro ma ai quali contrapporre, come sopra detto, la scarsa preparazione tecnica e le pregiudiziali antifasciste e populiste in chiave antieuropea. Contrapponendo loro un candidato che avrà pure fatto del “dandismo” un’arte di governo ma che è riuscito, e bisogna prenderne atto, a convincere gli italiani della necessità che la guida dell’esecutivo sia in mani competenti ed esperte per titoli accademici e competenza specifica. Che poi Giuseppi in concreto sia agli antipodi della competenza “ex ratione officii” nulla toglie alla pervasività del messaggio.
Lo schema Franceschini, sostanzialmente, finisce per ribaltare i giudizi di incompetenza e di inadeguatezza (che formano la cifra identificativa dell’attuale compagine governativa) a carico dei leader di centrodestra cui sempre lo schema Franceschini contrapporrebbe, come recitava un antico slogan della sinistra, la “forza tranquilla” di un premier mediaticamente proposto con le stigmate della competenza professionale e dell’arte di governo anche e soprattutto in chiave europea. Da dove, non dimentichiamo, arriveranno i quattrini.
Lo “schema Franceschini” si fonda sia sullo slancio inerziale delle attuali forze del centrodestra sia sulla umana aspirazione dei leader di “monetizzare” politicamente l’eventuale consenso portandoli a fargli compiere, per ambizione e desiderio, scelte sulle quali “crocefiggerli”.
La realtà effettuale in senso machiavelliano richiede ai leader del centrodestra freddezza e pragmatismo. Ad oggi è vero che alcune forze di quella composita galassia risultano nei sondaggi minoritarie rispetto ad assetti più strutturati ma possiedono classi dirigenti che potrebbero essere valorizzate, secondo necessità, anche in forma controintuitiva rispetto alle percentuali da sondaggio. Anche e soprattutto nell’ottica del candidato premier.
E qui mi riferisco al Cavalier Silvio Berlusconi. Sono assolutamente consapevole del fatto che gli anni passano per tutti e che l’uomo non è mai stato avaro di sé e delle sue energie nella sua vita privata e istituzionale. Ma constato anche che una grande democrazia come gli Stati Uniti d’America ha visto il confronto tra Donald Trump (poco più giovane del presidente Berlusconi) e Joe Biden (sostanzialmente coetaneo del presidente Berlusconi).
Ora, non è che negli Stati Uniti d’America manchino i politici “ggiovani” di talento: è che l’elettorato americano in un momento di difficoltà e di paura ha inteso affidarsi all’esperienza piuttosto che alle aspettative di speranza. E se Biden può, legittimato dal voto popolare, governare gli Stati Uniti d’America, per quale motivo il presidente Berlusconi non potrebbe rivestire, nella prossima tornata elettorale, la qualifica di premier indicato dall’intera coalizione? Tenuto conto altresì del fatto che il futuro premier dovrà avere quali doti precipue, oltre la competenza, anche la capacità inclusiva delle varie anime della coalizione a iniziare dai rispettivi leader. Un presidente Berlusconi riconosciuto e apprezzato in Europa, leader del partito popolare europeo con una visione europeistica matura e non ideologicamente orientata. Con un carico di anni che fanno esperienza.
Sulla inclusività di Berlusconi sono state scritte (e possono ancora essere scritte) intere enciclopedie. Anche perché “ananche”, la necessità, nel suo concreto operare, nel sistema mitologico greco, non si curava del parere di Zeus: ciò che i latini traducevano in forma non identica ma incisiva nel principio “necessitas non habet legem” e contro necessità a nulla può valere il rivendicare preponderanza di moneta elettorale.