Le elezioni anticipate non mettono a rischio l’economia

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Le elezioni anticipate non mettono a rischio l’economia

Le elezioni anticipate non mettono a rischio l’economia

28 Gennaio 2008

E’ vero che l’economia italiana non può
permettersi elezioni anticipate? Probabilmente vale la pena ricordare l’ovvio:
cioé che non sono i governi a produrre ricchezza. Gli apparati pubblici possono
solo consumarla – e un esecutivo, nella migliore delle ipotesi, può evitare di
minare condizioni e incentivi che spingono i privati a realizzare, innovare,
costruire, produrre. 

Sui numeri del governo Prodi (rapporto
deficit/Pil, pressione fiscale complessiva, crescita del Pil, etc.) le
previsioni degli esperti inclinano ora al ribasso delle buone notizie.
Esattamente come in passato, dobbiamo semplicemente constatare la relativa
impotenza della politica rispetto ad altri fattori. L’Italia è un Paese
dopotutto marginale, nel quale per giunta le riforme vanno a singhiozzo.
Siccome lo “shock” di cambiamenti strutturali che promuovano la voglia di fare
e di intraprendere degli italiani non arriva, dipendiamo per l’ossigeno da
quanto accade nel mondo. Prodi ha beneficiato, arrivando a Palazzo Chigi, del
suo leggendario “fattore c”. Chi verrà dopo di lui dovrà farne a meno.

Sarebbe sbagliato dedurre, come si è
fatto soprattutto a sinistra, che un “vuoto di potere” sia pericoloso, alle
prime avvisaglie di recessione. La crisi in atto non ha certo il suo epicentro
in Italia – e, comunque, l’unica cosa che siamo certi può amplificare e
prolungare l’effetto di una recessione è l’intervento pubblico. Se il vuoto di
potere scongiura manovre avventate, viva il vuoto di potere!

Preoccuparci per preoccuparci, pensiamo
non a quando si vota, ma a quel che uscirà dalle urne. La migliore freccia
nell’arco dei sostenitori del governo istituzionale è la necessità di procedere
a una riforma condivisa che assicuri all’Italia più governabilità. La diagnosi
di Mario Monti, al ritorno dalla Francia, non è poi sbagliata: il Paese di
Sarkozy è molto meno culturalmente disposto ad un salto in avanti in senso
liberale di quanto non sia il nostro, ma lì ci sono gli strumenti per
realizzarlo. Da noi non si scotta tanto il ricatto di un fantomatico sistema
delle lobbies, né (ormai) l’ostilità di un establishment che ha metabolizzato
l’agenda Giavazzi, ma il combinato disposto di clientele e corporazioni, che
sono il sale della terra del sistema dei partiti. Quando la caduta di Prodi
viene festeggiata  dagli striscioni dei tassisti romani assieme coi
vessilli d’opposizione, qualche dubbio su quante riforme si riusciranno a fare
in futuro ci deve venire.

La coalizione di centro-destra, se si
vota subito, può stravincere. Ma sarà ancora più composita di quella che si è
imposta nel 2001, e potrebbe diventare altrettanto ingovernabile, una volta
conclusa la luna di miele dei primi cento giorni. Berlusconi l’ha ricostruita “copiando” quello che Prodi fece alle scorse elezioni. Solo che, retrospettivamente,
quello fu il più grande errore del professore bolognese. Unire cioè – con la
complicità della legge elettorale – un gruppo disomogeneo con l’unico collante
dell’antiberlusconismo, continuamente usato come puntello per sostenersi
(tenete me, o torna Berlusconi), fino all’ultima scommessa persa.

Berlusconi, memore della sconfitta per un
pugno di voti, è legittimamente portato a fare lo stesso: dentro tutti, purché
stiate contro la sinistra (per predisposizione genetica o passate delusioni).
Su queste basi, che cosa possiamo aspettarci dal centro-destra? Finalmente la
grande svolta, oppure un replay della storia di Prodi, nemmeno temperata da
quelle difficoltà nel mettere insieme i voti che a conti fatti hanno
neutralizzato le peggiori intenzioni dell’esecutivo? Sapendo qual è il
canovaccio, non c’è dubbio che la Cdl allargata sarebbe in grado di recitarlo:
con Bossi nella parte di Giordano, Fini in quella di Pecoraro e Mastella nella
parte di Mastella.

La nostra reputazione è quella che è. I
mercati ce la scontano. Si sa che gli italiani sono imprenditoriali e creativi,
ma bloccati da una politica rimasta vent’anni nel passato. L’unica cosa che
farebbe la differenza, per le nostre imprese e per il nostro Paese, è se, dopo
il fallimento del centro-destra nella passata legislatura e del centro-sinistra
in questa, si aprisse davvero una strada nuova. Meno tasse, meno spesa, meno
burocrazia, meno regole, meno malcostume. La ricetta è nota, ora aspettiamo il
cuoco.