Le (false) lettere dal carcere di Gramsci

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Le (false) lettere dal carcere di Gramsci

21 Dicembre 2008

Al solito, Luciano Canfora intrica. Da tempo e con sorprendente regolarità, il filologo classico dell’Università di Bari, tra i più autorevoli collaboratori del “Corsera”, pubblica volumi, spesso di non grossissima mole, per mettere a punto una qualche questione complessa, apparentemente minuta ma nella sostanza rilevante. Si tratta perlopiù di quei tipici problemi-groviglio intorno a cui si sono esercitate schiere di addetti ai lavori senza che una soluzione condivisa sia riuscita a prevalere.

In questo senso, si muove anche “La storia falsa”. Un testo che se nella prima parte civetta attorno ad attribuzioni classiche tipo Pausania- Serse o periferiche genere “falso Cot”, poi arriva al bersaglio grosso, ovvero a quella corrispondenza sospetta che ad Antonio Gramsci, oramai dietro le sbarre, fu recapitata da certi amici, nel frattempo uccel di bosco fra Svizzera, Francia e Unione Sovietica.

Parliamo soprattutto della lettera che Ruggero Grieco, uno dei big del piccì clandestino, invia al leader sardo in procinto di essere sottoposto a processo. Nelle missive si parla, peraltro confusamente, di grande politica, ratificando così il ruolo ancora attivo dell’inquisito al vertice del partito. In pratica, un autogol. La conferma indiretta e clamorosa di quanto gli inquirenti fascisti sospettavano. Insomma, un passo falso in piena regola, come peraltro dimostra l’atteggiamento del magistrato, Enrico Macis, che davanti al detenuto, commenta: “Onorevole Gramsci, lei ha degli amici che certamente desiderano che lei rimanga un pezzo in galera”.

Ora, attorno a questa iniziativa, apparentemente così strampalata, che Gramsci giudicherà sempre con imbarazzo e amarezza, si sono fatte ipotesi a non finire. Alcuni, a partire dallo storico ufficiale di Botteghe Oscure, Paolo Spriano, hanno minimizzato, altri ancora vi hanno visto il machiavello, ossia il pupo del caso (Greco)  alle cui spalle manovrava un ben più attrezzato burattinaio (Palmiro Togliatti e così via). Canfora, forte della sua acribia, propende invece per un’altra soluzione: le missive in questione sono il frutto di una falsificazione, neppure tanto sofisticata, da parte di certi settori della nostra sbirraggine. A suffragio della sua opinione, lo studioso segnala lapsus e circostanze particolari, a cominciare da ruolo di provocatori svolto da “traditori” comunisti oramai al soldo dell’Ovra.

Un’ipotesi complessa, intrigante e forse plausibile. Ma che pure non risponde a un problema non proprio secondario: perché Gramsci, che si tormentò a lungo intorno a quella “strana” corrispondenza, nelle tante ipotesi che nel corso degli anni mise in fila, non fu mai sfiorato dal sospetto che i suoi guai fossero da attribuire a una manina manipolatoria del regime?

Luciano Canfora, “La storia falsa”, Rizzoli, pagine 322, euro 17,00.