Le grane interne ai “ribelli” rallentano la ricostruzione della Libia

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Le grane interne ai “ribelli” rallentano la ricostruzione della Libia

19 Settembre 2011

“Roma non è stata costruita in un solo giorno”, recita un famoso proverbio anglosassone. Lo stesso si potrebbe affermare – mutatis mutandis ­– per la nuova Libia del dopo-Gheddafi. La ricostruzione del Paese nordafricano, infatti, prosegue facendo registrare i prevedibili intoppi da post-regime. Ieri era atteso l’annuncio del nuovo governo ad interim, ma le divergenze tra i vari leader del Cnt – il Comitato nazionale transitorio ­– hanno almeno momentaneamente prevalso, così da rimandare la nascita del nuovo esecutivo a data da destinarsi. Suonano inevitabilmente di circostanza le dichiarazioni dell’attuale premier libico, Mahmud Jibril: “Abbiamo raggiunto l’accordo su un certo numero di portafogli, mentre gli altri sono ancora oggetto di discussione”.

In realtà, sebbene non siano disponibili informazioni ufficiali riguardo ai contenuti delle trattative e agli incarichi che sono stati approvati, fonti vicine al comitato riferiscono che la conferma stessa di Jibril a capo dell’esecutivo è stata uno dei punti cruciali della riunione tenutasi ieri pomeriggio a Bengasi. Una delle critiche mosse a Jibril è quella di aver trascurato, nel corso delle consultazioni precedenti il vertice, molte componenti politiche del nuovo corso libico, primi fra tutti i Fratelli musulmani. Un altro punto di discussione ha riguardato la stessa opportunità politica di dare vita a un nuovo esecutivo ancor prima che venga dichiarato concluso il processo di “liberazione” del Paese, cioè la sconfitta definitiva delle truppe lealiste di Gheddafi, se non addirittura la cattura del raìs in persona.

La necessità di trovare un accordo tra le varie anime del comitato è, in ogni caso, di fondamentale importanza per garantire il rispetto delle tappe del percorso che, in venti mesi a partire dall’annuncio della liberazione, dovrà condurre la Libia a dotarsi di una nuova Costituzione e a organizzare le prime elezioni politiche della nuova era. Oltretutto, la notizia del rinvio del nuovo governo ha probabilmente lasciato l’amaro in bocca tra i leader delle truppe ribelli e rinfocolato gli aneliti di resistenza delle milizie gheddafiane. Le forze del Cnt sono impegnate in questi giorni nei complicati assalti alle città di Sirte – che nel 1942 diede i natali a Gheddafi – e di Bani Walid, le ultime due grandi roccaforti in cui si rifugiano i fedelissimi del Colonnello. A Bani Walid, in particolare, alcuni responsabili del Cnt sostengono che possa essere presente lo stesso Muammar Gheddafi, mentre danno per certa la presenza del figlio Saif al-Islam, sul cui capo pende un mandato d’arresto della Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità.

Le due operazioni militari si sono rivelate più complicate del previsto; ciò in parte è dovuto al fatto che i combattimenti si stanno svolgendo secondo un precario equilibrio tra utilizzo di armi moderne e tecniche belliche non molto dissimili da quelle tipiche degli assalti medioevali. Tra i combattenti delle truppe ribelli, si lamenta il fatto che le unità di fanteria che tentano l’irruzione nelle due roccaforti rimangano sostanzialmente scoperte di fronte al lancio di razzi e ai colpi di mortaio riversati su di loro dai soldati lealisti. Ciò provoca disordine nell’assetto delle truppe, in quanto la copertura offerta dai carri armati e dai camion dotati di sistema di contraerea non è ritenuta sufficiente. Inoltre ci sarebbero dei problemi provocati dalla disomogeneità dei comandi che i soldati si trovano a ricevere: a seconda delle tribù di provenienza, i comandanti dispongono ordini differenti, con il risultato che in alcuni casi le truppe preferiscono agire con la propria testa. Come se non bastasse, bisogna infine considerare che, nel caso di Bani Walid, i lealisti si sono fatti per giorni scudo con i civili, costringendo i ribelli a ritardare gli attacchi e favorire – anche facendo pressione attraverso un ultimatum – l’uscita degli abitanti dalla città.

Le truppe lealiste di Gheddafi, così, possono tirare il fiato e festeggiare la resistenza a oltranza alla stregua di un successo. “Abbiamo vinto diverse battaglie contro i collaboratori della Nato e li abbiamo spinti fuori da Bani Walid e Sirte”, ha proclamato trionfalmente (alla tv siriana al-Rai) il portavoce dell’ex raìs, Moussa Ibrahim, specificando come quella contro i ribelli e gli alleati della Nato sia “una battaglia per la dignità contro le forze del male” e promettendo che “il progetto colonialista arabo verrà sepolto”. Già quest’oggi, tuttavia, il responsabile locale del Cnt, Abdallah Kenchil, ha riferito che i ribelli sono stati protagonisti di una "dura battaglia", con un risultato che dovrebbe essere positivo, dato che Kenchil ha poi aggiunto che l’operazione Bani Walid "sarà conclusa in un paio di giorni".

Un punto interrogativo è stato invece suscitato da un’altra dichiarazione rilasciata dal portavoce di Gheddafi: "A Bani Walid sono stati catturati 17 mercenari. Sono tecnici e consulenti; la maggior parte è di nazionalità francese, due sono inglesi, uno di un Paese asiatico non identificato e uno proviene dal Qatar”. Riguardo ai presunti prigionieri transalpini, il ministro degli Esteri francese Alain Juppé ha tuttavia dichiarato che "la Francia non ha mercenari in Libia". Rimane quindi da accertare la veridicità delle affermazioni di Moussa Ibrahim.

Un caso che, al contrario, sembra arrivare a conclusione dopo anni di ombre è quello dell’imam iraniano al-Sadr. Recatosi in missione in Libia nel 1978, l’imam sciita di origini libanesi era misteriosamente scomparso. Sia l’Iran che Beirut avevano fin da subito incolpato il regime di Gheddafi, ma da Tripoli sostennero che al-Sadr fosse ripartito per l’Italia (fatto che non ebbe mai conferma). Ebbene, a confermare che la scomparsa dell’imam fu ordinata per volere di Gheddafi è oggi uno degli ex-esponenti del regime del Colonnello. Si tratta di Bashir al-Khaddar, ex procuratore capo di Tripoli, ora passato dalla parte del Cnt. In un’intervista al quotidiano al-Sharq al-Awsat (ripresa dall’Ansa), al-Kahddar ha rivelato: "Moussa al-Sadr è stato ucciso il giorno in cui incontrò Gheddafi. Quello fu un incontro molto intenso: al-Sadr aveva detto a Gheddafi che era un infedele e il Colonnello fu molto vicino ad aggredirlo fisicamente"; la morte dell’imam, quindi, "potrebbe essere stata causata dalla reazione" di Gheddafi. L’ex magistrato ha poi aggiunto che "Moussa al-Sadr è stato ucciso e sepolto a Sirte, poi il suo corpo è stato trasferito a Sabha e infine in un altro luogo". Dopo 33 anni, pertanto, potrebbe essersi conclusa la questione al-Sadr, che rappresenta uno dei motivi d’attrito più consistenti tra la Libia e l’Iran.