“Le idi di marzo”, un film perfetto sull’ascesa (e forse la caduta) di Obama
26 Dicembre 2011
Il pianeta di Hollywood, contrariamente al pensiero corrente, sin dalle origini, quando il cinema ancora non aveva imparato a parlare, ha manifestato spiccate capacità nell’affrontare le politica. Ovviamente la politica democratica, poiché gli Stati Uniti nel corso del Novecento si sono solo misurati con la democrazia, e non con il totalitarismo, come è accaduto per un tratto, più o meno lungo e disastroso, alla stragrande maggioranza dei paesi europei. E la politica sullo schermo, come è ovvio, è stata incarnata nel volto, simpatia, gestualità, fascino, qualità morali e artistiche dei divi. Da Charlie Chaplin a Arnold Schwarzenegger (entrambi immigrati, il primo inglese e secondo austriaco), cioè dal muto al sonoro, dal bianco e nero al colore, dal classico al postmoderno, i valori di democratici e repubblicani, progressisti e conservatori, hanno avuto le loro icone di riferimento. Come dimenticare la femminista attivista dei diritti civili e dell’opposizione alla guerra in Vietnam Jane Fonda. E come dimenticare il granitico guerriero adamitico in difesa del libero possesso di armi Charlton Heston.
Hollywood ha lasciato spazio a tutti: ai rappresentanti dell’universo degli ultra radicali, e a quello degli ultra conservatori. Il cinema americano, in ogni stagione della propria storia, non ha avuto paura di affrontare la politica. Mettendo spesso nel mirino dell’obiettivo della macchina da presa il primo cittadino degli Stati Uniti. La galleria è lunga: dal “padre della patria” (l’ultimo fondatore della nazione) Abraham Lincoln; all’icona del male Richard Nixon; o all’icona di bene, gioventù e progresso John F. Kennedy, sotterrata per sempre dalle fucilate di Dallas. I ritratti del cinema hollywoodiano non hanno seguito solo gli avvenimenti storici, ma hanno lasciato ampio spazio a figure della fantasia, da Harrison Ford che sottrae a mani nude l’Air Force One ai terroristi che l’hanno sequestrato; o a Bill Pullman che guida a cavallo di un jet l’attacco finale contro gli alieni impegnati a distruggere il mondo; o al cattivo Gene Hackman, assassino per motivi sessuali scoperto da Clint Eastwood.
Alla linea del diretto impegno politico si iscrive il nuovo film diretto e interpretato da George Clooney, “Le idi di marzo”. Opere perfetta in ogni senso. Cinematograficamente c’è poco da dire. Ottimi, eccellenti attori. Scrittura secca, spesso divertente, e racconto appropriati. Durata limitata. Stile impeccabile: colori che tendono a svanire per volersi al bianco e nero. Già: bianco e nero. Infatti “Le idi di marzo” gioca sulla polarità cromatica per far emergere, nella drammaticità, la polarità del significato. Il film di Clooney racconta le vicissitudini di un giovane, sicuro e perfetto mago delle strategie comunicative, addetto alla campagna per la conquista delle primarie presidenziali del Partito Democratico negli Stati Uniti. Nell’Ohio si decide il futuro dei due candidati, finiti testa a testa. E chi vince le primarie, vince la sfida vera. È esattamente quanto avvenne storicamente nell’ultima elezione presidenziale: la lotta vera fu tra democratici. Obama e Hillary Clinton si scontrarono all’ultimo voto. I repubblicani, da otto anni al governo, e con la guerra e la crisi economica di Wall Street sulle spalle, si trovavano, al di là delle chiacchiere, fuori gioco. Il candidato Mike Morris (George Clooney), come Obama, nella corsa è partito svantaggiato, ma lungo il tragitto ha saputo recuperare la distanza con il rivale, grazie alle doti carismatiche. L’uomo della comunicazione e l’uomo della provvidenza rappresentano il meglio della politica. Ma è, appunto, un solo colore, il bianco. E la politica non è mai totalmente bianca; ha anche una faccia nera. Il cuore nero dei protagonisti emerge con lo svolgersi degli avvenimenti.
“Le idi di marzo” oltre ad essere una impeccabile lezione di cinema, è anche una lezione di politica. Come è sin troppo noto George Clooney, divenuto star hollywoodiana, di se stesso ha voluto costruire un’icona progressista, sin troppo vicina al partito rappresentato sullo schermo dal futuro presidente Morris. Eppure nel film non mostra nessuna indulgenza nel trattare una situazione a dir poco scabrosa. La morale perfetta, negli uomini, non esiste. Il perfettismo è una mala pianta, peraltro velenosa. E considerato che i politici sono uomini, non esistono politici perfetti. Si resta sbalorditi davanti ad una così potente e onesta lezione di realismo e onestà intellettuale.
Nel 2008 Barack Obama suscitò palingenetiche speranze (comprese quelle di George Clooney). Ora, se “Le idi di marzo” rappresenti la definitiva presa di coscienza che un conto è parlare, altro governare (e che quindi la stella del primo presidente nero volga al tramonto), non siamo sufficientemente convinti di poterlo affermare. Certo è che questo film è una spia: l’entusiasmo per la casa luminosa degli onesti, dei riformatori, dei benefattori dell’umanità si è appannata con sorprendente rapidità.