Le mani di Visco sull’inchiesta in Liechtenstein
29 Febbraio 2008
Forse neppure lo stesso Klaus Zumwinkel avrebbe potuto
immaginare che dal suo arresto in una fredda mattina di febbraio sarebbe
scaturito uno scandalo fiscale di simili proporzioni. Eppure, due settimane
dopo il fermo dell’ex amministratore delegato del gruppo Deutsche Post,
l’inchiesta aperta dalla procura di Bochum si sta clamorosamente estendendo a
macchia d’olio a cittadini di altri paesi dell’Unione Europea.
Attualmente circa 1400 persone, 600 delle quali tedesche,
sarebbero coinvolte nell’indagine con l’accusa di aver eluso il fisco mediante
l’apertura di fondazioni anonime nel Principato del Liechtenstein. A Vaduz,
infatti, così come in altri paradisi fiscali europei, è tutt’oggi in vigore il
segreto bancario, che assicura la massima riservatezza su qualsiasi tipo di
transazione finanziaria. Gli inquirenti avrebbero comunque avuto accesso alle
informazioni nascoste grazie ad un’operazione di spionaggio realizzata
congiuntamente con i servizi segreti federali. In spregio alla sovranità e alle
leggi del piccolo paese incastonato tra Austria e Svizzera, ma con il benestare
del Ministro delle Finanze tedesco Peer Steinbrück, il Bundesnachrichtdienst
avrebbe infatti versato ben 4,2 milioni di euro nelle tasche di un informatore
dalla dubbia moralità per farsi consegnare la lista con i nomi dei potenziali
evasori. Immediatamente dopo che la cosa è venuta alla luce, il principe Alois
von und zu Liechtenstein ha seccamente denunciato la palese invasione di campo
negli affari del Principato da parte della Repubblica Federale cosicché lo
scorso mercoledì la Procura di Vaduz ha deciso di aprire un’inchiesta ai danni
di Heinrich Kieber, testimone e informatore per la Germania, spia e divulgatore
di segreti di impresa per il Liechtenstein.
Dal canto suo, l’opinione pubblica tedesca, inizialmente
indignata per la mancanza di senso civico di alcuni suoi cittadini eccellenti,
si chiede ora se il “fine possa davvero giustificare i mezzi”, ovvero
se sia moralmente oltreché legalmente accettabile che uno Stato riesca a mettere
in atto con il beneficio dell’impunità una condotta penalmente rilevante per
una qualsiasi altra persona e ciò soltanto al fine di combattere l’evasione
fiscale. In ballo, dopo tutto, c’è il Rechtsstaat, lo Stato di diritto. Se
garantire che tutti paghino le tasse è dunque la priorità , di fronte a che cosa
lo Stato sarebbe pronto a fare un passo indietro? E’ questo l’interrogativo con
cui i tedeschi tentano di confrontarsi in queste ore.
Tuttavia, se si esclude l’audizione di fronte ad una
commissione parlamentare cui sono stati chiamati i servizi segreti federali, il
Governo di Grosse Koalition pare non curarsi del dilemma, preferendo proseguire
nella sua battaglia contro Vaduz, verso cui alcuni esponenti socialdemocratici
hanno addirittura chiesto sanzioni. Raccogliendo l’invito dell’OCSE, la stessa
signora Merkel ha chiesto trasparenza e rigore per quei paradisi fiscali più
riluttanti nel collaborare con la giustizia penale estera. In un incontro con%0D
il Principe Alberto di Monaco, la Cancelliera è riuscita inoltre ad incassare
un prezioso “sì” di appoggio in questa lotta, diventata
essenzialmente un’arma politica brandita dai due partiti popolari in rotta fra
loro (SPD e CDU) per recuperare consensi in vista della campagna elettorale
dell’anno prossimo.
Unica voce fuori dal coro è quella di Paul Kirchhof, ex
membro della Corte Costituzionale e consigliere economico di Angela Merkel ai
tempi delle elezioni del 2005. Intervistato dalla Süddeutsche Zeitung Kirchhof
è ritornato sulla proposta di introduzione della flat tax, una tassa piatta che semplificherebbe enormemente un
sistema fiscale come quello tedesco, recentemente valutato dal World Economic
Forum come il più ingarbugliato e meno chiaro tra quelli di 102 paesi presi in
considerazione. Finora, tuttavia, le soluzioni prospettate da una classe
politica spesso e volentieri collusa con ampi settori del mondo economico, sono
di mera repressione: inasprimento del trattamento sanzionatorio a carico degli
evasori, tetto agli stipendi dei manager, sanzioni economiche contro i paradisi
fiscali.
Nel frattempo il Governo federale, accusato dal presidente
dei banchieri svizzeri di usare “metodi da Gestapo”, ha aggravato la
sua posizione già non perfettamente limpida, offrendosi di vendere la famosa
lista di nomi a quegli Stati i cui cittadini siano invischiati nello scandalo.
A rispondere all’appello sono stati circa venti paesi, tutti ugualmente
disposti a spendere il denaro dei propri contribuenti per una lotta senza
quartiere contro l’evasione. L’Italia, nella persona del Vice Ministro Vincenzo
Visco, è già venuta in possesso di un
elenco di 150 persone. Il Ministro Di Pietro vuole conoscere i nomi. A noi
interessa sapere quanto lo abbiamo pagato.