Le Monde ricostruisce la storia del Cav. (e dell’Italia) per la gioia di Repubblica
21 Maggio 2009
«Parlare di Berlusconi significa tratteggiare l’autobiografia della Nazione italiana». È questa la tesi di fondo sostenuta da Philippe Ridet, corrispondente di «Le Monde» in Italia, nella sua analisi Berlusconi, une histoire italienne. Sinceramente ci si sarebbe attesi qualcosa di più originale da un’ottima penna e da un’altrettanto notevole intelligenza politica come quella di Ridet.
Prima di sbarcare in Italia, nell’agosto del 2008, Ridet ha seguito la lunga campagna elettorale di Sarkozy da una posizione privilegiata, sempre accanto al futuro Presidente e potendo godere del privilegio di dargli del «tu». Non sono mancate le critiche nell’ambiente del giornalismo transalpino e in particolare a «Le Monde», che in quella campagna elettorale aveva assunto una strana posizione attendista, culminata poi in un velato sostegno a François Bayrou. Da quella esperienza Ridet ha tratto un acuto libro, uscito nel 2008 da Albin Michel, con il titolo Le Presidente et moi. Poi, nel giro di alcuni mesi, dalla sezione politica Ridet è stato trasferito a Roma. Considerato uno dei giornalisti più esperti di destra francese è inviato dallo storico giornale fondato nel 1944 da Hubert Beuve-Méry ad osservare da vicino l’Italie de Berlusconi e a raccontarla ai lettori francesi. Senza dubbio il prestigio del nuovo corrispondente ha fatto aumentare il numero dei contributi che il giornale pubblica sull’Italia. Ma quanto sia difficile il compito del corrispondente estero dall’Italia Ridet lo ha sperimentato in prima persona circa un mese fa. In una cronaca al vetriolo Ridet aveva affermato che la Presidenza del Consiglio non accetta le critiche più o meno velate che provengono dai giornalisti della stampa estera di stanza in Italia. E aveva poi concluso: vizio nazionale, non tanto, o perlomeno non solo, di Silvio Berlusconi, dato che all’italiano medio piace crogiolarsi nel proprio autolesionismo. Immediato l’intervento da Parigi, oramai santuario di una pattuglia di giornalisti italiani costretti alla «resistenza dal regime berlusconiano». L’autorevole Bernardo Valli solidarizza con Ridet e «Repubblica» coglie l’occasione per diffondere un’altra falsa notizia (vi ricordate il caso Almunia, con l’Italia a rischio bancarotta, scoop poi smentito due giorni dopo dallo stesso «autorevole» corrispondente che l’aveva gridata da Bruxelles?). La Presidenza del Consiglio avrebbe convocato i corrispondenti italiani di «Le Monde» e «Wall Street Journal» affinché rendessero conto delle loro critiche al governo italiano. Le agenzie di stampa si accaniscono e «Il Giornale» riesce a parlare con Ridet, il quale, naturalmente, smentisce tutto. Era stato sì convocato dalla diplomazia italiana, ma per tenere un seminario a giovani studenti.
Insomma dovendo fare i conti con un’opposizione allo sbando, un certo giornalismo politico e politicizzato nostrano cerca di utilizzare i corrispondenti esteri per dare autorevolezza all’immagine che vuole fornire di un Paese alla deriva, nel bel mezzo di quello che il vice direttore di «Repubblica» Giannini ha definito, in un pamphlet delirante e privo di fondamenta storiche, «il ventennio berlusconiano».
Fino ad oggi Ridet, pur non risparmiando critiche anche piuttosto severe al centro-destra italiano e al suo leader, si è mantenuto su posizioni interessanti. Da grande conoscitore della destra francese e delle mutazioni a questa apportate da Sarkozy, si è tenuto lontano dall’immagine del Sarkoberlusconisme, coniata da quel Pierre Musso oramai autorità massima dell’«antiberlusconismo colto» d’oltralpe e, purtroppo, anche di casa nostra, dopo che il suo discutibilissimo libretto è stato addirittura tradotto in italiano.
Con la sua «storia italiana» Ridet offre del nostro Paese un’immagine caricaturale, quasi da operetta, aggiungendo qua e là velenose accuse di mancanza di libertà, suffragate dalle «autorevoli» opinioni di Travaglio, Belpoliti e Vargas Llosa. Si va verso il solito giornalismo che pensa e si focalizza su cosa il lettore transalpino, dall’alto del suo senso di superiorità nei confronti del cugino italiano, desidera leggere scorrendo l’edizione serale di «Le Monde», mentre sorseggia un Bordeaux seduto ad un café della rive gauche? Si spera davvero di «no». La stampa internazionale ha bisogno di professionisti seri, in grado di valutare e, se necessario, anche criticare duramente il nostro Paese. Il brutto affaire riguardante «veline» e liti coniugali più che al giornalismo politico appartiene a quello scandalistico. Al di là di ogni giudizio sull’accaduto un dato deve essere mantenuto fermo: attaccare Berlusconi per screditare un intero Paese resta sicuramente la via più semplice, ma anche quella più banale, di fare giornalismo politico, in Italia come all’estero.