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Le opposizioni stiano attente: si annuncia una nuova Tangentopoli
15 Aprile 2020
di Carlo Mascio
“Andrà tutto bene”. Lo slogan simbolo dei primissimi giorni del lockdown all’italiana, ancora appeso a qualche balcone, inizia a sbiadirsi. Conseguenza del tempo atmosferico che ha fatto la sua parte ma anche dei “tempi” che corrono: se, infatti, nelle prime ore gli slogan entusiastici hanno rappresentato la parvenza di una ritrovata unità nazionale – ci può stare, per carità!-, ora non servono più. A Palazzo Chigi, d’altro canto, la coppia Conte-Casalino continua a sfornare dirette Facebook durante le quali il Presidente del Consiglio continua a ripetere che l’Italia “è un modello” e che in Europa “ci devono seguire”. Sarà, ma qualche dubbio è lecito nutrirlo. E qui qualcuno smetterà di leggere per metter mano allo smartphone, scagliare l’accusa di antitalianità o quella più light di avercela in modo preconcetto col governo. Ma a noi interessa assai più capire come stia cambiando la dialettica tra maggioranza e opposizione.
Partiamo dal settore sconvolto dalla bufera Covid-19, quello sanitario e proviamo a dirci subito la verità: non eravamo preparati. Non c’è nulla di male nell’ammetterlo. Lo ha fatto anche Macron rivolgendosi ai francesi, non ostante sull’altro versante delle Alpi le cose stiano andando meglio. Aggiungiamo: per fortuna l’epidemia ha colpito quella parte del Paese nella quale il sistema sanitario si trova nelle condizioni migliori. Prima del coronavirus se al Sud ti trovavano un tumore, ti impacchettavano e ti spedivano in Lombardia per una cura specialistica o per una operazione: non dimentichiamolo. Se l’epicentro dell’epidemia si fosse stabilito nel Mezzogiorno, sarebbe stata una carneficina: anche questo noi non lo dimentichiamo.
Sul piano economico ad oggi c’è da stendere un velo pietoso. Non si capisce ancora come affronteremo l’ormai famigerata “Fase 2”. In Spagna, dove il Coronavirus è arrivato alcuni giorni dopo lo scoppio dei focolai italiani, mentre ancora si stanno contando i morti a migliaia, c’è già un progetto concreto di riapertura. In Italia tutto è ancora nei cervelli della nuova task force di tecnici scelti da Palazzo Chigi, sconosciuti ai più e certamente al Parlamento. Si annunciano fiumi di miliardi pronti sui conti correnti ma le casse delle aziende piangono. E pure i portafogli dei dipendenti. Insomma: tutto in alto mare.
Queste difficoltà si ripercuotono inevitabilmente sulla politica. Se guardiamo al passato prossimo, a voler dire la verità, tutti – ma proprio tutti – almeno una volta l’hanno fatta fuori dal water. Ci risparmiamo l’elenco: sarebbe troppo lungo. Veniamo al presente. Conte giunge a usare un discorso alla Nazione per attaccare Salvini e la Meloni, al fine di coprire le spaccature interne alla sua maggioranza. Le opposizioni, dal loro canto, paiono imprigionate in schemi ideologici – Europa si, Europa no – che appaiono astratti e non adatti a ospitare soluzioni per consentire al Paese di andare avanti. Se il “fuggiasco” fosse ancora in Patria avrebbe commentato da par suo: teatrino della politica al tempo del coronavirus!
Di fronte a questo scenario, tra lo squallido e il drammatico, il conflitto politico reale sembra essersi delocalizzato spostatondosi a livello delle regioni. Di fronte al trasformarsi del lockdown in dogma, Veneto e Liguria – regioni di centro-destra – hanno assunto, in autonomia, un modello alternativo. Il Veneto, a dir la verità, aveva iniziato da tempo adottando la strada dei “tamponi a tappeto” e affidandosi a una medicina di prossimità che ha limitato all’indispensabile i ricoveri in ospedale: scelte che hanno pagato alla grande, se si pensa che lì il numero dei morti è nettamente inferiore alla vicinissima Lombardia e all’Emilia Romagna. Così come, non per caso, la Liguria è stata la prima Regione a consegnare mascherine “porta a porta” ai cittadini, mentre a Roma andava ancora in onda “la caccia al tesoro”.
Ora le scelte sulla ripartenza: lockdown soft in Veneto, mentre il Governatore della Liguria annuncia che dal 14 aprile sono autorizzati a riprendere le attività professionali di giardinaggio, manutenzione straordinarie e allestimento delle attività balneari e piccoli chioschi, i cantieri navali, piccoli lavori di edilizia, sia privata che pubblica e altre attività minori. Nessuna polemica con lo Stato centrale, per carità, ma in un Paese nel quale tutti rifuggono dalle responsabilità per nascondersi dietro il messaggio comunicativo che conquista, Zaia e Toti hanno esercitato la responsabilità politica dicendo un bel no alla chiusura indiscriminata e alla “dittatura” di virologi e affini. Hanno alimentato, insomma, con i fatti e senza polemica la competizione tra due modelli di ripartenza.
Non vorremmo, però, che a questo schema qualcuno stia pensando, nemmeno troppo celatamente, di aggiungere un’appendice: scaricare impreparazioni, frustrazioni e difficoltà future sulla gestione lombarda dell’emergenza. La vicenda del Pio Albergo Trivulzio ha un sapore antico e richiama troppo smaccatamente la stagione di Mani Pulite e le sue forzature. Allora si fecero “figli e figliastri”: ci fu chi venne condannato e chi godette di una speciale immunità. Storia triste che non deve ripetersi e, soprattutto, non si può ripetere in piena emergenza: per giustizia e per pietà umana. L’opposizione, che ne sarebbe gravemente colpita, deve impedirlo. Non perda tempo appresso a inseguir fantasmi ideologici. Noi un programma minimo ci permettiamo di suggerirglielo: issare le bandiere di Veneto e Liguria e difendere la Lombardia, vero cuore dell’emergenza. Chi ha orecchi, intenda.