Le primarie all’italiana hanno un senso solo con regole fissate per legge

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Le primarie all’italiana hanno un senso solo con regole fissate per legge

17 Febbraio 2012

L’esito delle primarie del centrosinistra a Genova avrebbe dovuto infliggere un colpo mortale a questo metodo di selezione dei candidati che da qualche anno viene utilizzato dal centrosinistra e che oggi viene visto con favore anche dal centrodestra.

Dopo i casi di Milano, Napoli e Cagliari la scorsa primavera e quello della Regione Puglia qualche anno fa, il centrosinistra e il Pd in particolare avrebbe dovuto comprendere che questo tipo di consultazione informale e priva di regole certe rappresenta esclusivamente il cavallo di Troia con cui la sinistra estrema si impadronisce del corpo elettorale del partito democratico.

Bastano i numeri a dimostrarlo. A Genova il professor Rossi Doria, candidato dell’estrema sinistra, vince con 11.000 voti, pari a circa il 50% dei partecipanti alle primarie. Basti pensare che il sindaco in carica, Marta Vincenti, aveva conquistato il palazzo del municipio raccogliendo il 51% degli elettori della Lanterna pari a 220mila voti.

È sufficiente cioè mobilitare il 5% degli elettori di una città per esprimere il candidato della coalizione che presumibilmente conquisterà la poltrona di primo cittadino.

È un meccanismo evidentemente parassitario che si afferma solo per l’incapacità dei partiti più grandi di selezionare attraverso procedure credibili i candidati ai ruoli istituzionali. Con il ricorso alle primarie informali, infatti, si lascia credere che sia la base elettorale della coalizione a compiere le scelte fondamentali in tema di candidature, mentre è evidente che è sufficiente una minoranza “militante”, in grado cioè di portare al voto alcune migliaia di persone (così come in passato erano in gradi di mobilitare la piazza), per espugnare il consenso potenziale della metà dei cittadini.

Il partito di Nichi Vendola lo ha capito proprio a partire dalla scelta del candidato governatore della Puglia nel 2005, quando lo stesso Vendola riuscì a prevalere su Francesco Boccia, candidato da Pd, e poi – sullo slancio mediatico di quel successo parziale – conquistò la poltrona di governatore infliggendo una pesante sconfitta al centrodestra e al governatore uscente Raffaele Fitto.

Da allora Sinistra Ecologia e Libertà non si preoccupa più di accrescere il proprio consenso offrendo agli elettori della sinistra proposte di governo; semplicemente si limita a organizzare la campagna di raccolta dei voti nelle primarie cittadine o regionali, di modo da conquistare la supremazia della sinistra attraverso un sistema istituzionale considerato "di destra": l’elezione diretta del vertice istituzionale.

Basterebbero queste semplici considerazioni per far comprendere come le primarie all’italiana, anziché favorire l’alternanza tra coalizioni di governo, spinge alla costruzioni di raggruppamenti guidati dalle formazioni politiche più estreme.

Naturalmente il centrodestra, nella sua deriva neo partitocratica, non poteva che sposare questa scelta insensata delle primarie all’italiana, indicandola come il migliore strumento per la scelta della leadership nazionale.

Dopo aver fatto proprio un modello di partito nel quale l’organizzazione prevale sulla proposta politica e dove le leadership locali vengono contese a colpi di pacchi di tessere raccolte spesso con metodi dubbi, il Pdl sembra essere caduto acriticamente nel mito salvifico delle primarie all’italiana. Come per la sinistra, l’incapacità nel costruire una forza politica aperta e orientata al confronto delle idee invece che al dominio paraclientelare del territorio, spinge a credere (o a far credere) che il metodo delle primarie all’italiana renda migliore la scelta dei candidati ai vertici istituzionali ai diversi livelli di governo. Illusione pericolosa che contribuirà alla scomposizione, se non alla dissoluzione, del Pdl.

Non esiste allora altro metodo di scelta dei candidati che la discrezionalità dei gruppi dirigenti di partito? Forse. A meno di non prevedere, nell’ambito delle leggi elettorali vigenti o da riformare, norme tassative per lo svolgimento di eventuali primarie. Sole quelle regolate dalla legge possono essere in Italia primarie credibili.