Le primarie repubblicane sempre più una corsa a due: Romney vs Perry
15 Settembre 2011
Più la corsa alle primarie entra nel vivo, più la spettacolarizzazione tipica della politica americana fa il suo dovere. E così, da competizione poco interessante e priva di personalità di spicco, la sfida in casa repubblicana per eleggere il contendente ufficiale di Barack Obama si sta sempre più delineando come un confronto a due, con gli eventuali terzi incomodi chiamati ad alzare l’asticella per recuperare il terreno perduto. I due “pesi massimi” sono Mitt Romney, 64enne ex governatore del Massachusetts, e Rick Perry, 61enne governatore del Texas. In un certo senso, sono le stesse caratteristiche dei due candidati ad aver agevolato questa sorta di “selezione naturale”. Romney rappresenta l’uomo moderato che tanto piace all’establishment repubblicano di Washington; Perry, invece, è riuscito in poco tempo a scalare la classifica dei candidati cari al movimento del Tea Party, spodestando dal primo posto la lanciatissima – almeno fino a poco tempo fa – Michele Bachmann.
La conferma che per la corsa alla Casa Bianca si sta profilando un testa a testa si evince dal fatto che sono sempre di più gli esponenti di spicco del Partito repubblicano che dichiarano esplicitamente il proprio appoggio a uno dei due contender. Finora, l’endorsement più prestigioso è da assegnare a Romney, dal momento che per lui si è mosso Tim Pawlenty, ex governatore del Minnesota, anch’egli in corsa fino ad agosto. Pawlenty – come rivela il Washington Post – è stato a lungo corteggiato dai rivali di Romney, Perry in testa. Il quale, tuttavia, si può “consolare” con il sostegno espresso recentemente dal governatore della Louisiana, Bobby Jindal, e da quello del Nevada, Brian Sandoval. Di certo, è su Perry che si concentra la maggiore curiosità sia tra gli opinionisti e i sondaggisti politici che tra gli stessi leader repubblicani. In particolare, ci si chiede se il vulcanico e – per certi versi –controverso governatore texano sarà in grado di gestire se stesso, evitando di cadere nella trappola delle esternazioni assai "political uncorrect", quelle che i media americani non vedono l’ora di avere tra le mani per poter smontare la credibilità di un candidato.
Un saggio è stato offerto dallo stesso Perry la sera del grande dibattito televisivo tra gli otto candidati repubblicani – andato in scena lo scorso 7 settembre e che ha visto protagonisti (oltre a Romney e Perry), la Bachmann, Newt Gingrich, Rick Santorum, Ron Paul, John Huntsman e Herman Cain. Il tema era la Social Security (il sistema assistenzialistico americano), che Rick Perry non ha esistato a definire come uno "Schema Ponzi", che negli Usa sta a significare un metodo truffaldino per aggirare le persone e fare soldi facili. Un altro momento di particolare acredine dialettica si è avuto quando Michele Bachmann ha accusato il rivale di aver predisposto la vaccinazione delle giovani donne del suo Stato, ufficialmente per fronteggiare un virus sessualmente trasmettibile, ma in realtà – è l’accusa rivolta a Perry – per ricambiare la donazione di 5.000 dollari da lui ricevuta in campagna elettorale da parte della compagnia farmaceutica Merck, produttrice del vaccino. Il governatore del Texas ha ammesso di aver commesso un "errore" nell’ordinare la vaccinazione, ma ha rigettato l’accusa di essersi "venduto".
Eppure, proprio la vivacità dialettica mostrata da Perry sembra affascinare i piani alti del GOP. Oltretutto, il dibattito televisivo ha dato in vari frangenti l’impressione di essere un "Perry contro tutti", situazione che, a livello di riscontro d’immagine, paga fin dalla notte dei tempi. Romney, dal canto suo, ha cercato invece di spostare l’asse del duello con il suo principale antagonista sul tema delle pensioni, su cui Perry aveva in precedenza mostrato posizioni abbastanza nette riguardo ai tagli alla spesa. In occasione del dibattito, al contrario, si è dimostrato più conciliante e disposto a una "conversazione legittima".
La via che Perry seguirà nei prossimi mesi, quindi, sarà forse quella del classico "un colpo al cerchio e uno alla botte"? Cioè: "cerchiamo di mostrarci abbastanza moderati per conquistare l’appoggio dell’establishment, pur rimanendo saldi nei valori conservatori, per non alienarci le simpatie del Tea Party"? Di sicuro, sia Romney che Perry sembrano attualmente gli unici ad avere i connotati richiesti per ambire alla Casa Bianca. Primo fra tutti, l’esperienza da governatori, che non servì a Obama per vincere le elezioni del 2008, ma che mai come adesso sembra infondere più sicurezza negli elettori. Poi, ovviamente, c’è sempre da fare i conti con l’attuale presidente degli Usa, un altro "peso massimo" che non è affatto scontato che parta battuto. L’ultima ora, in fatto di elezioni, fa però suonare il campanello d’allarme in casa democratica: dopo 90 anni di dominio incontrastato dei blu (il colore dei Democratici), i repubblicani sono riusciti a conquistare il IX distretto di New York, in occasione della votazione per un seggio della Camera dei Rappresentanti federale rimasto vacante. Il posto lasciato dal deputato democratico Anthony Weiner – dimessosi dopo essere stato coinvolto in uno scandalo a luci rosse – verrà ora occupato dal repubblicano Bob Turner, che ha sconfitto il contendente David Weprin (53% a 47%).