Le religioni assassine nemiche della libertà

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Le religioni assassine nemiche della libertà

02 Marzo 2008

Dapprincipio una constatazione, in genere sotto gli occhi di tutti, ovvero anche la religione si è globalizzata alla stregua degli “altri sistemi di scambio”. Seguono varie conseguenze e più d’una complicanza. Una in particolare sta a cuore a chi scrive, lo storico israeliano Elie Barnavi, autore del libello Religioni assassine (Bompiani). In sintesi: “la violenza assassina alla quale si abbandonano tanti dei suoi adepti e dei modi per opporle resistenza”.

Premessa: il “villaggio globale” teorizzato dall’ineffabile Marshall McLuhan che per quanto ci riguarda significa “chiese globali”, e più in concreto, “una moschea globale, una sinagoga globale” con “tutti i tipi di incroci possibili, più o meno prevedibili”.

A questo bel popò di roba e premesse vanno aggiunti un disagio e una debolezza. Disagio e debolezza essenzialmente culturali. Riassunte da Barnavi nel seguente ampio giro di frase: “Quanto ci sembrano lontani i bei tempi della guerra fredda, non è così?  Certamente, vivere all’ombra del muro di Berlino con la spada di Damocle della bomba sopra la testa non era una gioia. Ma in ogni caso il totalitarismo sovietico era nato dalle nostre fatiche, si richiamava ai nostri valori, procedeva con una logica e obbediva a degli schemi di pensiero che conoscevamo bene, perché li avevamo inventati noi. Era il lato oscuro dell’Illuminismo, il nostro Illuminismo. Abbiamo sperimentato anche il terrorismo, Bin Laden non ha inventato niente. Ma anche i nostri terrorismi si iscrivevano all’interno di schemi familiari. Conoscendo le loro cause, eravamo in grado di combattere gli effetti. Sapevamo leggere nella testa dei figli di Fanon, o di Marx o di Nechaiev, li comprendevamo. Il terrorismo attuale, invece, non lo comprendiamo, ci è radicalmente estraneo”.

Barnavi, fissata la premessa, ragiona e argomenta. Ricorda gli antecedenti occidentali e moderni del fenomeno, ad esempio, quei “Folli di Dio” che nel millecinquecento straziarono la Francia dei Valois, e invita ad armarsi “intellettualmente per essere meglio armati moralmente” per far fronte a “una guerra che è già cominciata”.

All’idea dell’estraneità, al pensare “nostro” ne va aggiunta una precisazione preliminare un’altra che invita a smettere “di considerare le religioni come degli insiemi coerenti”. Non lo sono punto. Semmai, un calderone dove si possono ritrovare spunti e suggestioni talora disparate. Niente di strano pertanto che vi si possano incuneare letture forti, estreme, in una parola, fondamentaliste. E ciò vale segnatamente per le tre religioni del libro con una sottolineatura speciale nel caso dei devoti di Allah. E’ a questo quid in meno o in più che bisogna ricorre per spiegare il complesso e originale rapporto che l’islam intrattiene col potere e con la sua storia. Una storia dove la separazione fra la città di Dio e quella degli uomini non ha avuto mai davvero campo e dove Maometto “è profeta e capo di guerra, fondatore della religione e legislatore, dirigente di una comunità di credenti (umma) che è allo stesso tempo il primo Stato nazionale”.  Così “d’un sol colpo, religione e impero” si fanno “tutt’uno”. Insomma, nell’islam il potere religioso è l’unico “pienamente legittimo” anche perché fra i maomettani una “legge legittima” altro non è una “variazione sui precetti di Corano e sulla sunna”.

Fissate al curvatore le conseguenze, quelle terrifiche su tutte, sono all’incirca autoevidenti. Il busillis ora è invece la sfida. Dunque il saperla accogliere sperando che altrettanto riesca all’islam sotto schiaffo di una modernità incarnata dall’Occidente e vissuta, all’oggi, perlopiù come grave minaccia.

Elie Barnavi, Religioni assassine, Bompiani, pagine 164, euro 15,00.